sabato 24 febbraio 2007

Alpha Dog

Bullshit: è un termine sicuramente molto usato nel copione originale di Alpha Dog - ultima fatica di Nick Cassavetes - e si potrebbe utilizzare anche per esprimere il valore del film. Supponendo che chi legge conosca il significato del termine, vado a spiegare le mie ragioni. Alpha Dog è purtroppo la trasposizione cinematografica di eventi realmente accaduti, e non c'è dubbio sul fatto che la realtà sappia superare le fantasie più oscure; se però la narrazione di questi eventi risulta in qualche modo compiuta alla fine del film, non si può dire altrettanto del legame fra gli episodi che la compongono: alla fine del film ci ritroviamo con una storia narrata che sappiamo essere reale, ma sulla quale rimaniamo increduli, non solo moralmente. Alpha Dog è un film involontariamente sconnesso: forse Cassavetes voleva trasmettere l'impressione di follia che si ha quando da cause futili derivano conseguenze tremende, ma non ci è riuscito. Il film sembra per tre quarti della sua durata una specie di Beverly Hills 90210 più brutto, sporco e cattivo, con annesso il solito senso di vuoto moral-esistenziale spicciolo; poi diventa un film dell'orrore di serie B; ma il peggio è che si perde in troppe direzioni diverse nonostante la rigida scansione temporale data dalle didascalie (qui niente più che "stampelle" narrative), mentre i personaggi sono semplici automi senza alcuna profondità psicologica. Nick, rivediti i film di tuo padre.

Lettere da Iwo Jima

L'America ha perso l'anima? Non lo so; so soltanto che il suo cinema di anime ne ha ancora parecchie. E tra le più luminose c'è quella del vecchio Clint: vecchio unicamente nel senso affettivo del termine, è ovvio. Perché il suo cinema va oltre qualunque età, è già classico, senza tempo. E oltre a questo, è cinema commovente (in senso etimologico stavolta): ha la capacità di toccare l'anima, di costringerla a muoversi e a interrogarsi, ad andare incontro all'Altro, verso l'altrove e la differenza. Lettere da Iwo Jima è mirabile in tale direzione: la sua empatia è autentica e profonda, la sua comprensione e la sua immedesimazione sono sentite e partecipi. Impressionante è la capacità di Eastwood di entrare in una cultura opposta alla propria, mostrandola dall'interno senza mai farne una banale imitazione, una riproduzione vuota: il film sa fare suo, con garbo e attenzione, lo spirito di chi - con orribili e nefaste semplificazioni - viene considerato Nemico; per poi mostrare come ciò che davvero dà senso all'esistenza sia quel che è comune, condiviso, universale. Una simile comunione si realizza attraverso immagini dalla potenza, appunto, classica: e il regista è così coraggioso da permettersi di girare un film straniero interamente in lingua originale (peraltro con grandi interpretazioni, da parte di attori purtroppo sconosciuti in Estremo Occidente: Ken Watanabe, Kazunari Ninomiya, Shido Nakamura). Clint, ti voglio bene!

San Remo contro la Ragion di Stato

Ho letto: SANREMO, SBLOCCATI I COMPENSI DI BAUDO E HUNZINKER. E ho pensato: il soffitto di un Governo è il pavimento di un festival? Il mio dannato Paese finisce dove comincia San Remo? E qual è il mio Paese, la Terra dei Cachi cantata dal mitico Elio? Ormai le leggi ad personam sono un lontano ricordo, l'ultimo grido oggi è il presentatore televisivo elevato oltre la massima autorità giuridica dello Stato. Il mammasantissima-zombie Pippo Baudo e l'oscena squinzietta Michelle Hunziker sono certi di valere più di un qualunque Primo-Presidente-di-Corte-di-Cassazione, ed eccoli pronti al ricatto della Patria: se non ci date i soldi che vogliamo, niente San Remo, e nel Paese tornerà l'anarchia. La crisi di governo sarà una passeggiata a confronto. Ed ecco il buon ministro-sguattero Luigi Nicolais ("Funzione Pubblica") rimboccarsi le maniche e mettersi a lavorare alla circolare: bisogna pagare il riscatto, salvare la coscienza televisiva di un'intera nazione. Grazie a tutti: Carboneria, Mazzini, Risorgimento, guerre d'Indipendenza, grazie lo stesso; preferiamo tornare al feudalesimo. E il canone RAI sarà la nostra corvé.

Il Tg5 e la pista Bologna-Firenze

Mi ero ripromesso di lasciare perdere, su questo blog, quel che è successo e sta ancora succedendo in Parlamento. Ma l'altro giorno ho sentito involontariamente il Tg5 e mi è venuto da ridere. Spiego perché: la sconfitta del Governo al Senato era ancora calda, e a quelli della Cdl non sarà sembrato vero di poter sperare ancora, o perlomeno di poter fare festa per un po'. E così al Tg5 hanno mandato in onda un paio di servizietti abbastanza rivelatori. Il primo riguardava Bologna, che è abbastanza assodato essere non soltanto la residenza del curato Romano Prodi, ma anche un'(abbastanza) immarcescibile roccaforte della sinistra, dei rossi, comunisti, bolscevichi o quello che vi pare, a seconda del vostro gergo politico preferito. Hanno mandato il giornalista più stupido della testata, non mi ricordo il nome, è quello che fa sempre le cronache di provincia, belle colorite. E qual era l'argomento del servizio? Una novità immensa, uno scoop inaudito: il degrado in via Zamboni e nella zona universitaria. Ma che coincidenza! Il governo di rossi comunisti bolscevichi è appena caduto e noi del Tg5 gli diamo un'altra bella spallata rivelando che la loro città capitale è infestata da drogati, ubriaconi, punkabbestia, studenti perdigiorno. Una grande novità, ripeto, una vera rivelazione, grazie Tg5, queste cose non le sapeva nessuno, ci avete salvato la vita, non cammineremo mai più nel centro storico di Bologna dopo il tramonto! Abbiamo capito con chi abbiamo a che fare e non voteremo mai più rosso, mai più.
E questa è una. Ma indovinate di cosa parlava il servizio successivo? Di un'altra città, sempre rossa: Firenze. Pensa un po'... Ma qual era l'argomento? La droga. Ripensa un po'... Pare che a Firenze un'equipe di ricercatori universitari abbia portato a termine uno studio sui liquami fognari della città, studio dal quale sarebbe emerso che a Firenze si tira più coca, in proporzione, che a Londra. Cioè, se ho capito bene, a Londra sniffano 4 abitanti su 10, a Firenze 5, quindi uno su due. Una bella pista di coca, non c'è che dire. Allora è bianco il filo che unisce Bologna e Firenze? Pensavo fosse rosso...
E su tutto, un'altra coincidenza. Qualche giorno fa ho letto sull'ANSA che il Tg5 si è messo a fare più audience del Tg1. Allora mi chiedo: se il Tg1 fa schifo, il Tg5 è più seguito perché è migliore del Tg1 o perché fa ancora più schifo? Non sarebbe stato meglio se Riotta fosse rimasto a scrivere (bene) al Corriere, e Rossella a guardare il Panorama invece di raccontarci dell'uomo con i baffi più lunghi del mondo (Tg5 di ieri)? Forse sarebbe stato chiedere troppo, come pretendere che Follini fosse molto onesto e poco furbo.

sabato 17 febbraio 2007

Inland Empire

Sublime. Letteralmente. Il mio eroe David Lynch è tornato, e lascia senza respiro. Inland Empire è un capolavoro, lo sento; ma credo sia opportuno, come in fondo fa lo stesso film con il proprio corpo, uscire da se stessi e dalle proprie categorizzazioni del cinema per poterlo sentire fino in fondo. Dico "sentire" perchè avrei seri problemi a parlare di questo film facendone un'analisi, ovvero seguendo schemi consueti e tentando come al solito di "smontare il giocattolo" per giungere a una comprensione più o meno soddisfacente e definitiva. Il giocattolo qui non si lascia smontare, mirabilmente, e anzi è esso a cercare in tutti i modi di smontare il nostro sguardo, le nostre certezze e i nostri desideri di spettatori. Bisogna essere disposti a lasciarsi andare con Inland Empire, e predisporsi a essere attraversati dal film, un flusso di pensiero Altro con il quale fondersi, per poi iniziare (in-de-finitamente) a modellarlo, provare a tentoni a farlo nostro. Il digitale è la materia ideale per questo viaggio, immagine senza referente, non più indice ma soltanto icona, un magma da manipolare e deformare: peso e leggerezza nella medesima sostanza. Fellini ha detto: "non voglio dimostrare nulla, voglio mostrare"; e Lynch continua a chiedere: "se una storia si può raccontare, perché farne un film?". Sublime.

Complicità e sospetti

Scrivo di questo film solo per sconsigliare a tutti di vederlo, perché è davvero una schifezza. Anthony Minghella è uno dei peggiori e maggiormente sopravvalutati registi in circolazione, se non si era già capito da Il paziente inglese e da Il talento di Mr. Ripley; eppure chissà perché c'è sempre qualche furbastro di produttore pronto a prestargli la grana; qui poi il nostro è anche sceneggiatore e soggettista, e la disfatta dello spettatore è totale. Non so da dove cominciare, quindi non comincio neppure: basti sapere che la storia è assurda, c'è qualche serio problema di drammaturgia, la fotografia è del tutto anglo-convenzionale e le interpretazioni sono in genere di bassissima lega: in particolare, Jude Law è del tutto fuori parte e perfino Ray Winstone (solitamente grandissimo) è appiattito dal suo personaggio. Si salvano Juliette Binoche e Robin Wright-Penn, sono troppo brave per sfigurare; ma non sono comunque una ragione per vedere il film, davvero pessimo.

Blood Diamond

Sto aspettando che la mia ragazza scarichi il Divx per rivederlo con più agio: la sera in cui l'ho visto al cinema la sala era stracolma ed ero in prima fila, posto laterale, con uno schermo gigante di fronte. Uscendo dalla sala barcollavo, e ho avuto il capogiro fino alla prima birra; tutto questo per 8 euro, ma così oramai vanno le cose, le multisale urbane in genere somigliano più a centri commerciali che a cinema e chi decide di entrarvi lo fa a proprio rischio e pericolo. Dopo questa breve parentesi solipsistica, com'è questo Blood Diamond? Ero un po' scettico perché Edward Zwick non è esattamente il mio regista preferito: suoi i polpettoni Vento di passioni e L'ultimo samurai, per intenderci. Quest'ultimo film invece non è malaccio; ha i suoi bei problemi, intendiamoci, ma nel complesso è solido e più o meno verosimile, e tocca un argomento abbastanza insolito ma molto importante come il contrabbando di pietre preziose nell'Africa centrale: contrabbando utilizzato per finanziare le varie guerre civili della regione. Ammetto con vergogna la mia ignoranza della Storia contemporanea dell'Africa, e umilmente concedo che il film possa essere un buono spunto per approfondire l'argomento; ad ogni modo Blood Diamond è ambientato in Sierra Leone sul finire degli anni '90 del secolo scorso. Per il resto, la prova di DiCaprio non è sicuramente fra le sue migliori, mentre è da segnalare l'interpretazione di Djimon Hounsou, giustamente candidato all'Oscar come migliore Non Protagonista. Molto curiosamente, anche DiCaprio è candidato all'Oscar per questo film, e/ma non per The Departed, nel quale è a dir poco risplendente. Assurdità tutta americana.

giovedì 1 febbraio 2007

Veronica e Silvio nel paese del gossip...

...E tutto il mondo è paese: ne hanno scritto tutti, in tutta Europa e anche fuori. Il pettegolezzo (la parola gossip non la uso più, ho problemi di ulcera) asceso alla prima pagina globale. Capito come siamo messi? Avrei soltanto un'ultima domanda: chi è più stronzo (nel senso che si usa a Napoli)? La scelta è fra: il Berlusca, una vita a corteggiare zoccole, poveretto, a settant'anni suonati è un po' tardi per le redenzioni; Veronica Lario, che con gran finezza e intelligenza decide di non lavare i panni sporchi in famiglia - forse per avere un po' di attenzione, poveretta anche lei; io che scrivo questo post, con nausea e ulcera da superesposizione mediatica; i direttori responsabili - per modo di dire, ma quelli di solito sono troppo furbi (in senso cattivo); tutti noi che ancora la mattina compriamo il giornale o lo leggiamo sul web, e che non spegnamo la tv quando c'è Porta a Porta o Matrix, perchè pensiamo che peggio di così non possa andare.

Il grande capo

Cosa posso raccontarvi del Grande Capo di Lars Von Trier? Non mi viene in mente molto. La prima cosa che ricordo è la noia. La seconda, che si tratta del regista di Le onde del destino. La terza, forse la spocchia di Lars è cresciuta fino a superare il suo talento, e forse se ne è mangiata un pezzo. La trama del film? Non è molto importante: un attorucolo da strapazzo viene pagato dal dirigente di un'azienda informatica danese per interpretare la parte del grande capo, che i dipendenti non hanno mai incontrato prima; tutto ciò per poter vendere l'azienda a un affarista islandese. Ma le cose non sono come sembrano, come al solito c'è del marcio. Per il film è stato utilizzato un nuovo scellerato sistema di ripresa digitale, l'Automavision: una videocamera fissa comandata da computer che sceglie a casaccio cosa riprendere e quali movimenti di macchina effettuare. Vabbè... In ogni caso Il Grande Capo è una commedia degli equivoci post-Dogma, con personaggi spiacevoli e a tratti repellenti, inquadrature fintamente casuali (perchè il montaggio lo fanno ancora gli esseri umani) e continui ribaltoni di sceneggiatura che finiscono con lo sfiancare il malcapitato spettatore; come se non bastasse, al medesimo spettatore tocca sentirsi apostrofare dalla voce off del regista-narratore-narciso: il quale con le sue spiegazioni tiene soltanto a far capire di essere lui il grande capo, o meglio, il grande capo del Grande Capo; "e coloro che hanno avuto quello che speravano, se lo sono meritato", così più o meno sentenzia la voce sopra le teste dei poveri spettatori, chiudendo il film. Grazie Lars, ma non mi interessa, anzi, non mi interessi più. Non mi importa dei tuoi film girati con i più moderni trabiccoli da ripresa, ma senza musica; nè delle tue autocitazioni e autogiustificazioni, nè tantomeno della tua morale. E la prossima volta che fai un film, cerca di metterci un po' più di cuore, se ancora ne hai.