mercoledì 13 agosto 2008

Un dubbio

Tutti noi credo siamo stati costretti ad assistere alla morte di sette persone sull'autostrada A4 verso Trieste. Il tremendo incidente è avvenuto venerdì scorso, 8 agosto, e il relativo video è stato trasmesso dai telegiornali il giorno stesso, per poi venire diffuso da tutti i principali siti di video e notizie sul web. Il mio dubbio è sempre lo stesso: si tratta di legittima informazione ai cittadini o di spettacolarizzazione della morte? Sulle autostrade italiane ogni anno si verifica un alto numero di incidenti, spesso mortali purtroppo. Di questi immagino, un discreto numero sarà registrato dalle telecamere installate su tutta la rete autostradale. Eppure non mi ricordo di aver visto incidenti trasmessi nei telegiornali del mezzogiorno, negli ultimi tempi. Quest'ultimo forse era più grave del solito? Se si fa l'orribile conta dei morti, è assai triste constatare che il numero è nella media giornaliera: ogni anno sulle strade italiane muoiono in media 5000 persone (vedi questo articolo di Ilvo Diamanti su Repubblica.it). Allora perché, per fortuna, non mostrano ai telegiornali le immagini degli incidenti? Grazie al cielo non siamo ancora a questi livelli. Invece quest'ultima tragedia era particolarmente telegenica: ottima da mostrare all'ora di pranzo, così la gente che guarda e mangia può pensare "Cazzo, tremendo" con la bocca piena, prima che arrivi il servizio successivo. E chissà se ci si rende conto che si ha appena visto morire sette persone, per davvero.

domenica 3 agosto 2008

Il resto della notte

Se devo dire la verità, non credo che l'ultimo film di Francesco Munzi sia all'altezza del precedente Saimir. E' vero d'altronde che si tratta di un film più complesso e quindi più difficile: e non parlo soltanto del fatto che Il resto della notte è un'opera a più voci, mentre Saimir aveva, per così dire, un unico protagonista; anzi, il regista segue con la consueta dedizione e umanità tutti i suoi personaggi, ed è facile per lo spettatore empatizzare con ciascuno di essi dopo essere entrato nelle loro esistenze, accompagnato dallo sguardo preciso della regia. Il problema del film, al quale bisogna riconoscere una grande potenza descrittiva e una decisa onestà, è che non raggiunge una forma. Se Munzi cercava di proseguire lungo la strada del film precedente, conciliando introspezione profonda e analisi lucida del fenomeno sociale dell'immigrazione clandestina, bisogna dire che Il resto della notte non è riuscito nell'intento. E anzi, a mio parere il film non funziona nè sul piano dell'analisi sociale nè tantomeno su quello dell'interiorità dei personaggi: lo sguardo del film sulla Torino dei sans-papiers e della comunità rumena in particolare è nitido nella descrizione degli ambienti e delle dinamiche "di superficie" (microcriminalità, frizioni fra le diverse etnie) ma non dà conto delle ragioni profonde del disagio. Il vero punto dolente del film è però la psicologia: che abitino a Porta Palazzo o in una villa in collina, gli uomini e le donne raccontati nel film sono incongrui e disarticolati, privi di linee di condotta non dico logiche, ma almeno consequenziali. Nonostante la recitazione molto buona del cast (Sandra Ceccarelli, Stefano Cassetti, Aurélien Recoing, Laura Vasiliu, Constantin Lupescu, Victor Cosma, Valentina Cervi) nessuno dei personaggi è del tutto credibile, se non forse quello di Marco (Cassetti), un italiano tossicodipendente che lotta per conquistare il rispetto del figlioletto e che è forse il vero protagonista della vicenda. Ad ogni modo, Francesco Munzi rimane secondo me un buon autore, che può crescere ancora molto: aspetto con fiducia il suo prossimo lavoro.

sabato 2 agosto 2008

Il cavaliere oscuro

Una vera goduria, ecco cos'è The dark knight. Non me ne frega niente se è una macchina concepita e realizzata per sbancare i botteghini o se lo hanno usato per fare product placement a più non posso: si fottano. Io non comprerò mai un cellulare o una moto o un'auto perché ho visto queste cose in un film che mi è piaciuto, e il fatto che io sia anni luce lontano dal potermele permettere è l'ultima ragione. Penso che su queste stupidaggini sia meglio chiudere un occhio e godersi lo spettacolo. Quel che mi fa incazzare semmai è la più che probabile speculazione sulla morte di Heath Ledger, Dio lo benedica, anche se non credo che il pensiero della sua morte sia in cima alla lista nella testa di chi va a vedere il film; credo che vadano a vedere il film perché c'è Heath Ledger e basta, o almeno così ho fatto io e così mi piace pensare abbiano fatto altri. Del resto la sua interpretazione non lascia delusi: il vecchio Heath era già un grande e lo sarebbe diventato ancora di più, poteva fare qualunque cosa, io credo. E non c'è molto altro da dire.
Era un pezzo che non entravo in un cinema e giuro che sedendosi vicino allo schermo, bene al centro della fila, si passano due ore e mezzo assai piacevoli. La prima cosa che colpisce è l'incredibile numero di star hollywoodiane reclutate: oltre a Ledger (ripeto, il suo Joker se la gioca con quello di Jack Nicholson) ci sono Christian Bale, Michael Caine, Aaron Eckhart, Gary Oldman, Maggie Gyllenhaal e Morgan Freeman. E vai. Altra ottima cosa è il ben noto perfezionismo di Christopher Nolan, che si nota nei dettagli e nell'insieme. Nolan ha scritto il film (assieme al fratello) e ha fatto anche parte della produzione, segno che credeva molto nel progetto. E infatti nulla è lasciato al caso, la recitazione non è mai approssimativa nonostante la quantità di gente al lavoro sul set, e il copione è quello del miglior Batman di sempre, grazie anche ad alcune interessanti trovate "sociologiche" e ai trucchetti enunciativi tipici del lavoro di Nolan (in questo caso sono gli "scherzi" e le reticenze che il film mette in atto nei confronti dello spettatore). Insomma, il quarto Batman è un prodotto su cui si è investito parecchio e che non ha deluso nessuna aspettativa: tutto chiaro e risaputo. Un'altra cosa risaputa, ma forse un po' più vecchia e quindi meno evidente, è che la saga di Batman non è soltanto una serie di film fatti per far divertire la gente e fare un sacco di soldi. Come il buon Gianni Canova scriveva qualche anno fa nel suo L'alieno e il pipistrello (Bompiani 2001 o 2002, non ricordo) questi film sono una perfetta cartina di tornasole per il nostro immaginario, e la dicono lunga non solo su quello che sta diventando o è già diventato il cinema, ma anche su quello che siamo noi. Ricordo che Canova scriveva dell'avvento di un cinema "tattile", in cui il coinvolgimento dello spettatore era e sarebbe stato ricercato a tutti i livelli sensoriali e non più soltanto attraverso la visione. Bene, senza farla troppo lunga chi ha visto Il cavaliere oscuro credo converrà con me sul fatto che il film parla a tutto il corpo dello spettatore: e non sto dicendo che si sente un sapore particolare sulla lingua mentre si è seduti in platea, ma che le suggestioni portate dal film ci spingono a un'esperienza totalizzante e totalmente immersiva. Io non sono un avido spettatore di blockbusters, ma immagino che quel che si cerca oggi andando a vedere un film mainstream come questo sia diverso da ciò che ci si aspettava anche soltanto quindici anni fa, se non dieci. E' piacevole immaginare che quando andiamo a vedere un film, anche il film veda noi; e non soltanto attraverso la lente deformante del marketing. Personalmente poi provo più rancore verso un film "d'autore" mal riuscito perché autoreferenziale, che verso un film "commerciale" che fa divertire e si fa amare da tutti, nessuno escluso.

Be Kind Rewind

Stupendo!!! Michel Gondry - se qualcuno aveva ancora dei dubbi - è un vero matto, e un vero genio. Già lo si capiva vedendo, come in un'estasi pop o un trip ben riuscito, i suoi precedenti Eternal Sunshine of the Spotless Mind (aka Se mi lasci ti cancello, 2004) e La science des reves (aka L'arte del sogno, 2006). Adesso mi sembra di leggere una specie di percorso nel giro di questi tre film: il primo aveva al centro la memoria, il secondo i sogni, il terzo il cinema; tutti parlano d'amore, in fondo. Forse Be Kind Rewind racconta dell'amore per il cinema che diventa sogno realizzato? O di come per amore degli altri ci si metta a sognare e di conseguenza a fare cinema? O di come la memoria, il cinema e la vita abbiano le stesse proprietà fondamentali (mutevolezza, fragilità, inconsistenza)? Ognuno dia la propria risposta, non c'è modo di sbagliare. In ogni caso, uno degli aspetti più affascinanti del cinema di Gondry è l'inserimento di elementi surreali in un contesto del tutto naturalistico; e qui cerco di spiegarmi: il caro visionario disadattato nei suoi film inizia sempre descrivendo un ambiente urbano, in interni e/o in esterni, con piglio da documentarista (ovvero con macchina da presa assai mobile o addirittura a mano, luce apparentemente naturale, fotografia sgranata) e ci mette dentro personaggi apparentemente "normali", soltanto un po' troppo solitari o appartati rispetto alla "media". Molto presto però nelle esistenze di questi personaggi piomba prepotentemente l'Incontrollabile, sotto forma di avvenimenti che da questa parte dello schermo sono semplicemente impossibili. E da quel momento non soltanto la vita dei personaggi cambia senza revoche, ma anche il modo in cui il film si racconta e entra nella testa dell'indifeso spettatore. Intanto mi è venuta in mente un'altra cosa che accomuna tutti i film di Gondry che ho citato: al centro di questi film c'è sempre una rappresentazione creata dai protagonisti, nella quale i protagonisti stessi si autoinseriscono (la memoria in Eternal Sunshine, i sogni in La science, i film "sweded" in Be Kind); e questa autorappresentazione finisce con il diventare più grande di chi la crea, e con il sottrarsi al controllo di questi ultimi fino a ritorcersi contro di essi, per venire infine (sempre apparentemente) domata e ricondotta - letteralmente - a più miti pensieri. Allora si può dire che Gondry racconti sempre la potenza dell'immaginazione? Mah! A me personalmente non interessa saperlo, mi basta solo poter continuare a vedere i suoi film, che mi hanno sempre dato parecchia felicità. Be Kind Rewind è forse quello che me ne ha data di più, perché fra le altre cose è un vero inno al cinema, a quello che il cinema è veramente, alla sua bellezza e a quello che significa nella vita delle persone. E infine, fa morire dal ridere! Le scene in cui Jerry (Jack Black, bravo) e Mike (Mos Def, bravissimo) girano il remake di GhostBusters, oltre a essere da antologia, lasciano senza respiro per le risate che provocano. Buon divertimento!