domenica 14 settembre 2008

E venne il giorno

The happening, il titolo originale dell'ultimo lavoro di M. Night Shyamalan, è forse l'unica cosa buona del film. Il ragazzo prodigio di Hollywood, il cui cinema ho spesso amato (The Sixth Sense, Signs), ha perso il tocco magico. Qui anzi ha proprio toccato il fondo, dopo la già assai deludente performance di Lady in the water: E venne il giorno è vuoto come un palloncino gonfiato, non c'è nulla del suo autore. Niente suspence, autentica paura, nè tantomeno riflessione rivelatrice sul reale. Niente personaggi, niente colpi di scena, niente ribaltamenti di prospettiva. E' proprio la storia che è sbagliata, e il modo di raccontarla è stanco e privo di verve. Non sembra crederci nemmeno lui nel suo film, il vecchio M. Night. Anche lasciando perdere la monoespressione di Mark Wahlberg e la mediocrità degli altri recitanti, The Happening non vale qualcosa neppure come (stracco) messaggio ecologista. E' da buttare.

Tropa de Elite

Ecco un'altra assurdità da festival del cinema: Tropa de Elite ha vinto l'Orso d'oro a Berlino quest'anno, ma è soltanto una stupidaggine. Vogliamo scherzare? Il film non vale niente, è un racconto di serie B con odiosa ed ebete voce fuori campo, un viaggio posticcio nelle favelas di Rio de Janeiro attraverso lo sguardo dell'ineffabile capitano Roberto Nascimento, appartenente alle forze speciali della polizia brasiliana, il POBE. Il film dura 118 minuti, che non finiscono mai; ma pensate che in tutto questo tempo il regista Josè Padilha riesca a creare un personaggio credibile, una psicologia rudimentale, insomma qualcosa di umano e riconoscibile? Niente, non si capisce proprio cos'avessero fumato i giurati di Berlino in quel giorno di febbraio. Nel film c'è l'immancabile violenza pop della guerra fra poliziotti e bande delle favelas, qualche atrocità gratuita, tonnellate di cinismo stupido e nient'altro. Nessuna nota sociologica di qualche valore, nessuno da ricordare. Una perdita di tempo.

In Bruges

Sicuramente uno dei migliori film dell'anno, In Bruges è diretto da Martin McDonagh, un drammaturgo londinese di origini irlandesi. McDonagh aveva vinto un oscar per il miglior cortometraggio, Six Shooters, nel 2006; In Bruges è il suo primo copione per un lungometraggio. Non c'è nulla di sbagliato: un soggetto davvero originale, l'ambientazione insolita e significativa, una sceneggiatura che tiene in equilibrio perfetto i due protagonisti, senza sbilanciarsi al momento dell'arrivo dell'antagonista; i dialoghi sono splendidamente volgari e insolenti ma capaci di svelare l'anima dei personaggi, senza alcun macchiettismo; il tutto in un'atmosfera metafisica ma non propriamente antinaturalistica, in cui anche i comprimari sono ottimamente tratteggiati, e credibili. La grandezza del film sta nel suo essere al di là dei generi e delle convenzioni narrative: storia nera, commedia, insieme di sketch riuscitissimi, battute fulminanti, dubbi escatologici, indagine morale... Tutto questo insieme, eppure nella somma le parti si amalgamano e divengono indistinguibili. E alla fine ci si chiede se In Bruges non voglia essere, con mirabile cinismo, soltanto uno stupendo divertissement che suscita domande importanti per poi ridere in faccia allo spettatore, rispondendogli: non ci sono risposte, pensa solo a divertirti finchè puoi. Chi è più bravo fra Colin Farrell, Brendan Gleeson e Ralph Fiennes? Non saprei proprio dirlo, sono tutti davvero grandi.