No country for old men
Se non avete già visto il film e avete intenzione di vederlo, non andate oltre: le righe che seguono contengono rivelazioni nocive al godimento dell'opera d'arte in oggetto. Fatevi un favore, davvero.
Ho dovuto attendere a lungo prima di poter parlare "a ragion veduta" del film. L'ho visto e rivisto diverse volte, sempre in versione originale; era diventato quasi un'ossessione. Ora è arrivato il momento di affrontarlo, anche se sono ben conscio della mia debolezza. Perché era vero tutto ciò che avevo letto e sentito del film prima che uscisse: un capolavoro assoluto, una pietra miliare, già di prepotenza nella Storia del cinema; un'opera devastante, che rimane a tormentarti per giorni e ti costringe a riflettere, se non a meditare; ad oggi il film più duro dei fratelli Coen, come loro stessi avevano dichiarato qualche tempo fa. E nonostante tutto questo, nonostante tutte le mie visioni e riflessioni, No country for old men rimane imprendibile, come ogni vero, sublime capolavoro. Per questo so già che non riuscirò a dire granchè di tutto quello che mi è venuto in mente in questo tempo: non riuscirò a chiudere i conti, fosse soltanto perché nei film di Joel e Ethan Coen i conti non tornano mai; ma soprattutto No country for old men non è un film chiuso, esattamente come non lo è un buco nero, aperto sul nulla per l'eternità. Quel poco che ho da dire lo scriverò quindi all'insegna dell'eventualità e addirittura dell'evanescenza, perché è l'unico modo in cui posso tentare non dico di spuntarla, ma almeno di cavarmela.
Il film inizia con una voce fuori campo, quella dello sceriffo Ed Tom Bell (Tommy Lee Jones): racconta del passato e delle sue memorie, poi si mette a parlare di quello che succede al giorno d'oggi. Intanto sullo schermo si susseguono splendide vedute sul deserto del Texas (il film in realtà è stato girato in esterni quasi tutto nel New Mexico, a parte alcune scene nella cittadina texana di Marfa e poche altre in Messico). Le inquadrature sono campi lunghissimi sullo spazio infinito, mentre arriva il giorno; ma in quelle inquadrature è anche il Nulla totale che vedo, pur se non lo percepisco immediatamente. E il Nulla è qui controllato, ma anche in qualche modo rafforzato, dalla fotografia: le inquadrature seguono tutte la cosiddetta regola dei terzi, che prescrive di dividere l'immagine - affinché essa risulti piacevole all'occhio - in tre parti sia in senso orizzontale che verticale. La linea d'orizzonte segue appunto questa disposizione, e abbastanza rigidamente; ed è come se la macchina da presa volesse costringere all'interno della propria dura, deterministica e finita visione monoculare ciò che non può essere compreso e delimitato: l'Infinito appunto, ma forse anche il medesimo Nulla. Intanto la voce over di Bell termina il suo monologo (e non ci sarà più alcuna voce over per il resto del film: i conti non tornano, e te ne accorgi soltanto alla fine) mentre la macchina da presa fa una mezza panoramica a sinistra ed entra in scena, di spalle, non si sa da dove, il secondo protagonista del film, Anton Chigurh (Javier Bardem). Nella scena successiva lo si vedrà fare quel che meglio sa e più gli piace: uccidere esseri umani, assaporandone la morte. Due scene e due omicidi dopo entra infine in scena il terzo protagonista, Llewelyn Moss (Josh Brolin), e il film stabilisce subito una simmetria deforme fra lui e il suo antagonista: anche Moss si incontra nell'atto di uccidere, pronunciando le medesime parole usate un attimo prima da Chigurh, ma se questi è portatore del "vuoto" (il killer utilizzerà più volte nel film una bombola d'aria compressa per forzare le serrature delle abitazioni altrui, ed ha appena compiuto un'esecuzione con lo stesso strumento), Llewelyn è motore narrativo e portatore di senso dell'intera vicenda (l'analogia è con il padre dello sceriffo, portatore del fuoco nel racconto del sogno finale). Moss conserva il proiettile esploso invano verso la sua preda, e scende dalla rupe sulla quale si trova per cercare eventuali tracce di sangue: ne trova, ma il sangue è quello di un cane mastino nero che fugge, azzoppato, verso l'orizzonte del deserto (rimando all'uscita di scena di Chigurh alla fine del film). Dopo questa scoperta si susseguono in maniera causale e deterministica tutte le successive: i morti abbandonati, la droga sui pick-up, la valigetta con i due milioni di dollari. E nella valigetta piena di soldi sta il vero inghippo: tutti coloro che avranno a che fare con essa, direttamente o indirettamente, verranno uccisi (una ventina di omicidi in tutto il film, per la cronaca; non ricordo il numero esatto). Le eccezioni sono tre: lo sceriffo Bell e Chigurh - cercatori disinteressati del denaro - e la suocera di Moss, personaggio che rimane ai margini ma ha una fondamentale funzione narrativa: connotata come una strega, dalla voce al carattere all'aspetto, essa sarà la vera responsabile della morte di Llewelyn, mandando a monte il suo piano apparentemente perfetto senza nemmeno volerlo. Tornando al denaro: i due milioni di dollari portati con sè da Llewelyn fanno accadere cose e finire vite umane, dando così una direzione e un senso al percorso narrativo; però il denaro è anche e soprattutto indice di non-senso e, ancora, di vuoto. Ho in mente due scene del film apparentemente "simmetriche", quella in cui Llewelyn nasconde il denaro nel condotto di aerazione di una stanza di motel usata durante la fuga, e quella in cui il protagonista recupera il denaro, sempre dal condotto di aerazione di una stanza di motel, planimetricamente opposta ("simmetrica", appunto) alla prima. Nella prima scena Llewelyn nasconde la valigetta in fondo al tunnel spingendola da destra a sinistra nel condotto principale. Quando nella seconda scena Llewelyn recupera la valigetta dalla stanza opposta alla prima, ci si aspetterebbe che la valigetta venisse trascinata da sinistra verso destra; invece accade il contrario, la valigetta viene estratta dal condotto in direzione opposta, da destra verso sinistra. Sembrerebbe un errore, un'incongruenza; nel frattempo Chigurh, che nella prima stanza ha intuito il nascondiglio del denaro, apre la grata di aerazione e si ritrova davanti all'imbocco di un tunnel vuoto, che dà quindi sul nulla; e le tracce lasciate dal trascinamento della valigetta si fondono, con una dissolvenza incrociata, nella segnaletica orizzontale di una strada illuminata dai fari di un'automobile a bordo della quale Llewelyn si sta allontanando dal motel. Prospettive perfette, deterministiche, che hanno come punto di fuga il vuoto, il niente, la morte. In una delle ultime scene del film, lo sceriffo Bell entra in un'altra stanza di motel, quella in cui Llewelyn è stato da poco ucciso; dopo aver esplorato la stanza (dove nell'ombra si trova anche Chigurh, che poi sparisce dalla scena senza che lo spettatore veda come, in "fuori campo") scopre che la grata di aerazione è stata aperta; ma dentro la grata il condotto non è di sezione rettangolare, bensì rotonda, un buco completamente nero nella quale la valigetta non poteva entrare (un buco poi che somiglia a tutti i buchi fatti da Chigurh nelle serrature dei suoi luoghi "di caccia", con il vuoto della bombola di aria compressa). E infatti la valigetta sparisce dal film, senza spiegazioni, senza che si possa sapere dove sia finita (i messicani non possono averla presa, perché sono fuggiti in tutta fretta dopo aver ucciso Llewelyn; e Carla Jean confesserà a Chigurh di non sapere più nulla dei soldi). La valigetta sparisce nel nulla, come dal nulla era emersa, lasciando un vuoto di senso (narrativo e morale). Quello che vorrei dire è che il film è figurativamente pieno di queste prospettive sul nulla: condotti di aerazione, strade notturne, fori nelle serrature fatti con aria compressa, finestre aperte dietro tende svolazzanti, schermi televisivi neri nei quali i personaggi si rispecchiano (nella roulotte di Llewelyn e Carla Jean, prima Chigurh e poi Bell [si] riflettono nello schermo di un televisore spento, con alle spalle una finestra aperta sul deserto). E' il vuoto che appare all'inizio del film, con le inquadrature "perfette" del deserto; si ritrova anche nelle strade delle cittadine texane dove non si vede quasi anima viva, notte o giorno che sia, e attraversa tutto il film fino a incarnarsi nello sguardo in basso finale dello scerifo Bell: in quest'ultima scena, tremendamente commovente, la macchina da presa avanza lentissima come a creare una prospettiva nel cui punto di fuga si ritrovano gli occhi dello sceriffo - che sta raccontando un sogno alla moglie, incapace infine di comprenderlo - mentre alle sue spalle c'è una finestra che dà ancora una volta sul deserto. E' la stessa voce che dava inizio al film, ora non più over ma incarnata, a non-chiudere un cerchio; sempre a parlare di ricordi, pacatamente disperati e impotenti di fronte all'assurdità del mondo. Qualcuno, nei blateramenti insulsi che hanno accompagnato in televisione l'uscita del film, ha tentato - forse senza nemmeno saperlo - di iniziare una riflessione sul genere del film, definendolo "western moderno". Va bene, può essere, almeno in superficie: le ambientazioni, i percorsi narrativi, la violenza. Ma allora perchè non vedere No country for old men come un film dell'orrore, più precisamente un film di fantasmi? Pensiamo al personaggio di Anton Chigurh, e alle sue - letteralmente - apparizioni: il killer si materializza sempre dal nulla, a cominciare dalla prima scena del film (non sappiamo neppure perché il poliziotto lo stia arrestando, o da dove sia arrivato); riesce sempre, più o meno misteriosamente, a localizzare le sue vittime (con o senza transponder) quasi come se possedesse un intuito soprannaturale che lo porta a trovare sempre chi sta cercando, al di là della semplice intuizione; chi lo vede ed è in grado di identificarlo non rimane mai in vita (Carson chiederà a Llewelyn: "Lo hai visto, e sei ancora vivo?"); lo sceriffo Bell, parlando di lui a un collega, dirà: "più che un pazzo, mi sembra un fantasma". E poi, come nei film dell'orrore, il gore e lo splatter che esplodono cupi nel bel mezzo di momenti innaturalmente calmi o silenziosi; e, cosa più inquietante e terribile di tutte, le morti offscreen... Un ultimo pensiero sulla recitazione. Dell'Oscar non mi importa molto, che Javier Bardem fosse un attore - anche letteralmente - da paura lo sapevo già da un pezzo, lo sapevano tutti; chi sia Tommy Lee Jones, poi... Ma è impossibile stabilire chi dei due sia più bravo in questo film, perché hanno ruoli, anche dal punto di vista tecnico, totalmente opposti. I loro personaggi hanno una storia e uno sviluppo incommensurabili: Chigurh è un personaggio statico, come si diceva una volta, perché le sue caratteristiche non cambiano per tutto il film. E' un personaggio che somiglia a un cerchio, chiuso, e dentro il suo perimetro Bardem ha il compito - perfettamente eseguito - di portare alla luce gli aspetti stridenti di una personalità totalmente disorganica: una perversa integrità morale, l'imperturbabilità, la freddezza, l'ironia sinistra, la totale mancanza di pietà, il complesso di superiorità... Bardem fa esplodere queste componenti come fuochi d'artificio in una finestra di cielo notturno. Il personaggio dello sceriffo Bell invece è la quintessenza della dinamicità narrativa: la sua personalità cambia completamente fra l'inizio e la fine del film, e Tommy Lee Jones è sublime nell'accompagnare il suo personaggio verso il nulla finale. Prima l'ironia e l'arguzia, meno fredde ma spietate come quelle del killer che insegue; poi il progressivo disincanto, la paura, il rimpianto, alla fine soltanto i ricordi senza più alcuna speranza (un'altra scena che mi commuove profondamente è quella del colloquio con il vecchio Ellis). Allo sceriffo Bell è affidato il riconoscimento ultimo del vuoto (da notare il fatto che i tre personaggi protagonisti entrano ed escono dal film in ordine simmetrico: primo ed ultimo Bell, secondo e penultimo Chigurh, terzo e terzultimo Moss) e pertanto la storia gli appartiene più che a chiunque altro. E' lui il personaggio più grande, e credo che la recitazione di Jones sia della medesima statura. Quante cose ci sarebbero ancora da dire. Il tema del caso, quello della guerra, quello della memoria... Chiedo scusa a chi è arrivato pazientemente fino a qui: si è trattato di pensieri sperduti, originati da un'ossessione che anzichè attenuarsi si è fatta più forte ad ogni nuova visione. E non mi ha abbandonato: la settimana prossima avrò finalmente tra le mani il romanzo di McCarthy. Non vedo l'ora di ricominciare.