Michael Clayton
Era da un pezzo che non mi emozionavo tanto per un film. Michael Clayton, scritto e diretto da Tony Gilroy - al suo esordio dietro la macchina da presa - è davvero bellissimo, un piccolo capolavoro. Il merito è molteplice: prima di tutto la sceneggiatura è un gioiello, senza difetti, complessa ma trasparente, capace di scavare nell'animo dei personaggi senza provocare cali di tensione nella storia, e di far funzionare in modo impeccabile il flashback che sta alla base del racconto. La regia aderisce perfettamente al copione, secca e tagliente, forte ed essenziale: bisogna davvero congratularsi con Gilroy, alla sua prima prova ha fatto subito centro (mentre come sceneggiatore aveva già messo a segno diversi colpi, essendo l'autore della saga di Jason Bourne, di Rapimento e Riscatto e di L'avvocato del Diavolo, per citare alcuni suoi lavori precedenti). E poi c'è la recitazione: non avevo mai visto un George Clooney tanto dolente, amareggiato e misurato, la sequenza dei titoli di coda è da antologia; assieme a lui, grandissimo, ci sono Tilda Swinton, sempre perfetta, un Tom Wilkinson magnificamente disperato e Sydney Pollack, che è sempre un piacere veder recitare. Fotografia di Robert Elswit, musiche di James Newton Howard, produttore esecutivo Steven Soderbergh assieme allo stesso Clooney e ad Anthony Minghella... Insomma, Michael Clayton, in concorso a Venezia quest'anno, è un film nel quale molti hanno creduto: e l'emozione dello spettatore nasce anche dalla percezione di questo impegno, così alto nella ricerca della bellezza e nel racconto del Mistero.