Non pensarci
E' bravo, Gianni Zanasi. Questo film non è impeccabile, ma di certo lascia un segno profondo. Il titolo è perfetto, tanto per cominciare: un imperativo apparentementre amichevole e leggero, che nasconde un pesante paradosso. Che cos'è una situazione paradossale? Cerco di ricordare le stronzate che mi hanno insegnato all'università quando fingevo di studiare "psicologia del linguaggio e della comunicazione": trattasi di una situazione nella quale un povero cristo si ritrova automaticamente dopo che qualcuno gli ha detto qualcosa appunto come <<non pensarci>>, o <<sii spontaneo>> o <<sii te stesso>>, ovvero gli ha dato un "comando" la cui esecuzione comporta automaticamente la trasgressione del comando stesso. Cerco di spiegarmi: come fai a non pensare a una cosa quando uno ti dice di non pensarci? Per smettere di pensarci devi prima pensare a quella cosa, e così ti ritrovi un casino pazzesco dentro la testa; se non ricordo male, tali situazioni paradossali sono talvolta corresponsabili - fatte le dovute proporzioni - dell'insorgere di atteggiamenti e/o patologie di tipo schizofrenico. Perché vado a rivangare queste cazzate da università? Perché lo scopo del film di Zanasi è proprio quello di raccontare la follia della vita contemporanea, possibilmente facendo riflettere per bene anche chi si trova da questa parte dello schermo (con me ci è riuscito, nel senso che mi ha creato un bel rovello interiore, tuttora in attività; vediamo se dormendoci sopra...). E schizofrenico è anche lo stile del film: perché per farci pensare, Zanasi ci fa ridere come dei matti. E' una comica quasi continua, e davvero divertente, a parte qualche trovata di sceneggiatura un po' troppo improbabile. Ma dove ha origine questa comicità dal fondo amarissimo? Innanzitutto dalle differenze fra i protagonisti: le loro caratteristiche peculiari li portano all'attrito continuo, fra loro e con il mondo esterno, e Zanasi è stato efficace in fase di scrittura e di regia nel ritagliare figure nette, solide, prigioniere di loro stesse ma in contrasto totale con la società che le circonda. Un grande aiuto viene anche dalle ottime interpretazioni dei fratelli Valerio Mastandrea (sempre in bilico fra un dolore reticente e un'indolenza fisiologica) e Giuseppe Battiston (caustico e svampito insieme, con tracce di idealismo e generosità): il loro continuo scontro li porterà infine a scambiarsi i ruoli e perfino i temperamenti; ma non c'è schematismo, nè manca mai la sostanza umana in tutti i personaggi, perfino quelli marginali (forse il meno riuscito è la madre, un po' approssimativa, un po' macchietta, forse anche banale).
Il regista modenese ci mostra fra una risata e l'altra che la vita di relazione è qualcosa di assurdo; che le bugie non è detto siano peggio della verità a tutti i costi; che non ci sono vie di fuga; e che se il mondo non ti schiaccia, ti lascia comunque solo. Nel finale non c'è speranza, ma solo un punto interrogativo; tutto rimane sospeso, soluzioni provvisorie sembrano profilarsi all'orizzonte senza dare un senso alle vicende dei singoli... Ci provo a non pensarci, ma è come guardarsi allo specchio.
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