Accadono cose strane ultimamente. Forse la principale responsabile è la mia paranoia, ben alimentata da un'esistenza trascorsa costantemente davanti allo schermo di qualcosa (pc, cellulare, televisore, cinema), e acuita da più di una settimana di permanenza forzata all'interno delle mie mura domestiche, per colpa della salute cagionevole.
Non lo auguro davvero a nessuno; e comunque, paranoia o meno, l'altro giorno mi è capitato di pensare che davanti alla TV ogni tanto si possa stare anche senza perdere del tutto il proprio tempo. Era il giorno dell'insediamento di Barack Obama, e alle sei ho acceso la RAI per sentire il discorso: sono andato prima sull'Uno, poi sul Due, e c'erano le puttanate tipiche di quella fascia oraria. Vergogna, ho pensato: una giornata storica, indipendentemente da cosa tutti pensino del nuovo presidente, e la "televisione di Stato" se ne frega. Perlomeno, la RAI mainstream; e infatti sul Tre le cose vanno diversamente: arrivo e c'è Giovanna Botteri (bravissima) che sta parlando da Washington e racconta quello che si vede e quello che si sente, non soltanto tramite l'udito, stando laggiù. Beh, oggi devo dire che invidio gli americani: non so cosa darei perchè nel mio Paese in decomposizione avvenisse qualcosa che avesse anche soltanto lontanamente la forza di ciò che è accaduto negli ultimi tempi agli Stati Uniti. Ed è proprio Storia in diretta quella che sto vedendo e ascoltando: il discorso di Obama, tradotto malissimo in simultanea ma del quale si intuiscono la solidità, la sobrietà e anche la forza; Dick Cheney in carrozzella, caduto nel suo appartamento mentre faceva le valigie; Bush e consorte accompagnati sul retro a prendere l'elicottero che finalmente, una volta per tutte, ci libera dalla loro presenza nella Capitale. Ascolto e guardo tutto, registro il momento, sento i bravi commentatori in studio (gente mai vista prima, una volta tanto); poi la diretta finisce, e vado a cena contento.
Ma non è tutto qui: perchè atterro per caso, io che odio guardare la TV mentre mangio e sono costretto a farlo tutti i giorni, su Rai2 dove stanno trasmettendo la prima puntata della seconda serie de L'ispettore Coliandro. Bè, è forte. Mi diverto. Bravi. Ci sono le parolacce in prima serata, ma non c'è volgarità; c'è una storia che fa ridere, e che è anche una narrazione ben fatta. Ci sono battute che non ti aspetti, personaggi originali, una Bologna abbastanza insolita (il personaggio è di Carlo Lucarelli). Insomma, la nuova serie dei Manetti bros (i mitici Manetti bros, quelli che 5 anni fa avevano provato, con quasi nessun altro, a creare i primi modelli di racconto audiovisivo per il web) è davvero accattivante. Complimenti.
E il gran finale della giornata catodica è sempre su Rai2, dove subito dopo va in onda il bellissimo Un paese chiamato Po, seconda puntata. La prima l'ho persa, non sapevo che avrebbero iniziato in Gennaio; aspettavo con ansia il programma, e non sono rimasto deluso. Non ci sono canoni, soltanto omaggi al passato, struggenti: a Mario Soldati e al suo Viaggio nella Valle del Po, mirabile prodotto dell'epoca d'oro della televisione italiana; a Ugo Tognazzi, che per me è semplicemente un eroe, qui anche in una gag irresistibile assieme a Celentano; a Novecento di Bernardo Bertolucci (mentre Giuseppe Bertolucci qui si occupa delle riprese, splendide), a Silvana Mangano e a De Santis. E credo che la bellezza visiva del lavoro debba qualcosa anche ai documentari di Gianni Celati, mai citati esplicitamente ma di cui si sente il respiro ampio e profondo. Il ritmo è però scoppiettante, e non ci sono schemi: semplicemente si racconta quel che si dovrebbe raccontare, ovvero l'insolito che si nasconde dietro la superficie solita delle cose, nella valle del grande fiume. A far da nocchiere c'è Edmondo Berselli, bravo, sincero, per nulla "televisivo": non fa il conduttore, è un po' narratore e un po' personaggio lui stesso fra gli altri personaggi... Insomma gente, è inutile che io stia qui tanto a menarla: guardate il programma, perchè è stupendo.