Come Dio comanda
Ancora Salvatores e Ammaniti insieme, dunque. Ma siamo lontani da Io non ho paura. In quel film, che rimane ad oggi uno fra i più belli del regista milanapoletano, c'erano una forza e una sincerità che qui mancano del tutto. Forse il romanzo di allora era migliore di quello di oggi (non ho letto Come Dio comanda), fatto sta che il lavoro di Salvatores appare sforzato, ingessato, faticoso. Gli riconosco, come del resto per Io non ho paura, una ricerca approfondita sui luoghi e gli ambienti: la scenografia e il paesaggio (che è quello del profondo Friuli) sono davvero inquietanti, e da soli trasmettono gran parte di quella cupa stranezza che è l'anima del film. La sceneggiatura è assai "compatta", non c'è respiro nell'agire dei personaggi - nel senso che essi non hanno alcuna prospettiva, vivono come rinchiusi all'interno delle loro case fredde e oscure o, appunto, di un cerchio di montagne malate, in un clima plumbeo e grigiastro davvero angosciante. E' un film che implode, mi viene da dire: si ripiega sempre più su se stesso, invece di aprirsi verso possibili vie di fuga; è come se il regista volesse raccontare una storia senza racconto. Anche i "tic" del montaggio, per la verità non proprio essenziali, hanno origine da questo rifiuto nei confronti dell'apertura narrativa.
E' un film riuscito a metà, Come Dio comanda: perchè se anche riesce a trasformare la forma in sostanza, non è in grado di affabulare lo spettatore. Potrebbe essere l'ennesimo esperimento di Salvatores, che notoriamente ama cambiare linguaggio quasi ad ogni film; ma qui purtroppo manca l'anima.
Anche le prestazioni degli attori sono su questa linea: se è efficace la recitazione di Filippo Timi, troppo "da manuale" è quella di Elio Germano, mentre è abbastanza improbabile Fabio De Luigi; discreta e nulla più la performance del giovane protagonista Alvaro Caleca.
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