Bello e avvincente l'ultimo lavoro di Ron Howard, metà artigiano metà "grande firma" dell'industria hollywoodiana. Non conosco a fondo la sua filmografia, ma quel che ho visto mi ha sempre colpito e lasciato qualcosa a cui pensare: Apollo 13, Ransom, l'indimenticabile A Beautiful Mind, Cinderella man. Grandi spettacoli, tecnicamente ineccepibili, gioiosamente mainstream. Eppure in questi film si può trovare di volta in volta un grande approfondimento psicologico, una scelta narrativa insolita, un'amorevole filologia nella ricostruzione d'epoca; soprattutto, una messa in questione dell'ideologia dominante, del sogno americano in buona sostanza: Howard, dal centro esatto del sistema produttivo, si ostina a cercare di essere autore, e soprattutto a mostrare le stonature - spesso tragiche - che caratterizzano la società e la storia del suo Paese (tra l'altro il regista ama molto portare al cinema episodi realmente accaduti, "storie vere").
Quest'ultimo Frost/Nixon, molto bello, prosegue in pienezza il percorso tracciato dall'autore con i film citati: è un lavoro tecnicamente impeccabile, avvincente e ritmato; il soggetto è dato dalla famosa intervista del giornalista britannico David Frost a Richard Nixon, nel 1977; Peter Morgan ne trasse tre anni fa un'opera teatrale, interpretata da Frank Langella e Michael Sheen, e gli stessi Morgan, Langella e Sheen si ritrovano nel film rispettivamente come sceneggiatore e protagonisti. Il copione naturalmente funziona a meraviglia, e i due attori sono bravissimi, specialmente Langella nel ruolo di "Tricky Dick".
Ma Howard, come dicevo, non si accontenta del grande spettacolo. Il suo film non è per niente consolatorio, anzi: c'è una profonda amarezza nel film, e una specie di stanca sfiducia verso tutto e tutti si percepisce fin dalle prime scene. Lo scontro fra l'ex presidente americano e il giornalista inglese, da subito, appare l'esatto opposto di una sfida fra il bene e il male: nessuno infatti si salverà dal punto di vista morale. Nixon, ben cosciente delle proprie malefatte, cerca nell'intervista soltanto l'ultima possibilità di salvare la faccia; mentre Frost, lungi dall'essere un paladino della giustizia o dell'etica, agisce soltanto per il successo personale. D'altronde, direte voi, perché dovrebbe essere diversamente? A questa gente si chiede di essere dei bravi professionisti, di fare bene il proprio mestiere: e saranno proprio la professionalità e la fede estrema nel proprio lavoro che porteranno Frost al trionfo, e alla sconfitta di Nixon. Eppure nel film non c'è proprio nessun vincitore: persino l'integerrimo James Reston Jr. (Sam Rockwell), nemico acerrimo dell'ex presidente, sarà costretto a stringere, disgustato, la mano di quest'ultimo, rimangiandosi una parola appena data e venendo meno ai suoi imperativi più radicati. Alla fine Nixon, per il quale il film mostra in fondo di non avere nessuna pietà, verrà sconfitto da un suo simile, una persona come lui indifferente alla morale e all'etica: e a uscirne distrutta non sarà soltanto l'immagine di un ex presidente, ma quella del potere in generale, e forse anche dell'intera America.
Nessun commento:
Posta un commento