Inglourious Basterds
Enough! You better start talkin
to us, asshole, cause we got shit
we need to talk about.
Inglourious Basterds (sic) è stupefacente. Impossibile rendergli qui tutto l’onore che merita; butto giù semplicemente qualche impressione, molto tempo dopo avere visto (e rivisto) il film.
Indispensabile una premessa sul doppiaggio: la versione originale è quasi interamente sottotitolata. Ovvero, si parlano quattro lingue: francese, inglese, tedesco e anche italiano – in un passaggio breve ed esilarante, puntualmente sciupato nella versione nostrana. Questo del doppiaggio potrà sembrare un dettaglio insignificante; io credo invece non sia di poco conto, dato che la molteplicità linguistica del copione è un elemento esteticamente fondamentale. La versione italiana, l’unica che finora ho visto integralmente e di cui posso scrivere, identifica ovviamente l’inglese come lingua “base”, e lo fa coincidere con l’italiano; il problema è che alcune scene che nella versione originale non sono in inglese vengono doppiate comunque in italiano, snaturando miserevolmente lo spirito del film.
Ciò detto, vado con la prima considerazione: non credo abbia molto senso parlare di “citazionismo” per il cinema di Tarantino. Non sono neppure certo che la parola citazione si adatti compiutamente al nostro caso: il modo in cui QT opera riferimenti alla Storia del cinema o al resto dello scibile umano non ha esattamente il significato che di solito si dà all’uso della citazione. Sto pensando al semplice omaggio, al becero sfoggio di erudizione, ma anche al collegamento strumentale ad un precedente di prestigio al fine di conferire maggiore lustro alla propria creazione. Fondamentalmente penso che questi usi siano estranei alle intenzioni del regista, e mi chiedo: una citazione, per poter essere considerata tale, necessita per forza di riconoscibilità? Ammettiamo che la risposta sia positiva. In tal caso dovremmo anche ammettere che essa richiede un relativo isolamento all’interno del testo: in poche parole, la citazione appare al buon vecchio senso comune – qualunque cosa esso sia – ben riconoscibile e ben distinta dalle eventuali sue compagne che si trovano nello stesso pollaio.
Invece cosa accade in Inglourious Basterds e in tutto il cinema di QT, forse per la prima volta nella Storia della settima arte? Che le citazioni, se ancora vogliamo chiamarle così, sono talmente tante e vicine fra loro – anzi le une sulle altre – da risultare indistinguibili fra loro e da ciò che le circonda. Insomma la Storia del cinema, da Tarantino in poi come mai prima di lui, ha iniziato a ripiegarsi su se stessa. E lo ha fatto in modo talmente deciso da non poter più tornare ad essere quello che era prima: ovvero una linea, magari non proprio retta, che però continuava a procedere, fra strappi e scossoni d’ogni genere, in un unico senso. A questa linea QT ha impresso un andamento nuovo, apparentemente involutivo: quello di una spirale centrata sul nulla. Al centro di quel gorgo, nel cuore del cinema di QT l’apparenza e il buon senso vogliono stia il vuoto assoluto: niente senso, né morale, né speranza nei film di Quentin. Niente. Apparentemente, soltanto un accumulo ossessivo di copiature, rispecchiamenti, dialoghi vani e privi di qualsivoglia “verità” o verosimiglianza (per quanto dannatamente divertenti). Il Fine Ultimo non esiste più, al suo posto sta una valanga di ciarpame ripreso da chissà dove, una cattedrale che non sarà mai consacrata perché costruita con resti di monumenti troppo eterogenei, se non addirittura con i rifiuti decomposti del passato. Vogliamo trovare l’evidenza di tutto ciò in Inglourious Basterds? Non c’è problema: ecco i criptotesti The Dirty Dozen e The Inglorious Bastards (quest’ultimo di Enzo G. Castellari, che compare nel film di QT con il ruolo di un innominato ufficiale tedesco), ecco le dichiarazioni di QT stesso sulla volontà di realizzare uno “spaghetti western con iconografia da Seconda Guerra Mondiale” (Wikipedia ha già una ricca voce sul film), o tutti i riferimenti al cinema tedesco del Terzo Reich… Ancora? Nella sequenza all’interno del cinema parigino, le panoramiche mostrano un party in perfetto stile Woody Allen, mentre nella sparatoria finale ci sono un sacco di inquadrature copiate dal finale del Padrino III (senza contare l’esilarante imitazione di Marlon Brando da parte di Brad Pitt, poco prima)… Potrei naturalmente continuare all’infinito, se solo possedessi un po’ più di cosiddetta cultura cinematografica. Ma il fatto rilevante non è l’ignoranza dello spettatore medio e la sua incapacità di riconoscere tutte le citazioni (‘a ridàje) presenti nel film: è chiaro come il sole, e non c’è bisogno di essere docenti al DAMS per capirlo, che Inglourious Basterds è zeppo di richiami più o meno evidenti all’Altrove cinematografico. E allora?
Oggi però, con pochi grammi di senno in più, tutta questa storia mi sembra un cumulo di stronzate. Chi, come il sottoscritto, si è affidato a una visione letteralmente superficiale del cinema tarantiniano – apprezzandone soprattutto il cinismo e la ferocia (e le citazioni) – si è perso la parte migliore. In realtà tutti i film di Quentin sono film d’amore, un amore smisurato per il cinema e per la finzione. Del resto, e qui apro un’altra parentesi, cosa ci è rimasto a parte la finzione? Se qualcuno ha ancora fiducia nella “realtà” e nel “vero” si faccia avanti, che andiamo a bere insieme. Un paio di vodka-martini prima di cena non potranno certo nuocere più di tanto, in quelle condizioni: perché la realtà, se ancora ci fosse bisogno di specificarlo, è morta e sepolta. Lo sapevano bene Pasolini e Baudrillard, e l’hanno visto prima di molti altri; oggi che questa morte è sotto gli occhi di tutti, in quanti siamo a volerla riconoscere? Non lo so e non me ne importa più di tanto, io sono solo uno a cui piace andare al cinema. Quindi chiudo la mia parentesi e torno al mirabile oggetto filmico che dà il titolo al mio post e che davvero potrebbe essere il capolavoro del nostro caro Quentin.
Tuto questo per ribadire che QT con la macchina da presa fa quello che vuole, anche se non ci sono più dubbi. Basterebbe già la sua capacità mimetica a certificarlo: Inglourious Basterds è un film europeo opera di un autore americano fino al midollo, per quanto perdutamente innamorato del cinema d’Oltreoceano. Basta confrontarlo con altri capolavori di QT come Reservoir Dogs o Jackie Brown, opere U.S.A. dal primo all’ultimo fotogramma; e non parlo di attori o ambientazione: le parti più affascinanti del film sono quelle in cui il regista è più lontano dalla propria cultura d’origine e si immerge in questa atmosfera filmica per lui totalmente “altra” (penso alla scena della conversazione fra Hans e Shosanna, ma anche alla parodia del cinema di propaganda tedesco in Orgoglio di una Nazione).
Amore, insomma: Inglourious Basterds lo trasuda da quasi ogni fotogramma. E’ un film lento, composto quasi interamente di dialoghi e conversazioni: e in questa lentezza dolcissima il regista si prende tutto il tempo per seguire i suoi amati personaggi e osservarli da vicino, quasi accarezzandone i volti (si noti la grande abbondanza di inquadrature in primissimo piano; non per niente poi l’ultima parte del film si intitola “La vendetta della faccia gigante”). Questo seguire amorevolmente i personaggi si ritrova a dire il vero anche in tutti i film precedenti, ma è un amore più freddo, più distante, forse più americano appunto. E’ il film finora più maturo di QT? Non so e non mi importa, certo è che si tratta del lavoro più diverse del Nostro, forse perché ha una storia tutta sua: basti ricordare che ci sono voluti dieci anni per la scrittura del copione (rimando di nuovo a Wikipedia per ulteriori sapidi dettagli).
Non so dire altro: bentornato Quentin, glorioso splendido bastardo!
Nessun commento:
Posta un commento