Come l'ombra
Sin dalla prima inquadratura di Come l'ombra è ben chiaro, anzi trasparente - come la vetrata dietro la quale si muove la macchina da presa - chi sia la vera protagonista del film: Milano, o per meglio dire ciò che oggi Milano rappresenta agli occhi della brava Marina Spada, autrice e regista del film. I primi fotogrammi sembrano introdurci nell'esistenza di una persona, una donna di nome Claudia, intenta a compiere le azioni della propria quotidianità. Ma è soltanto un'apparenza: Claudia è un esempio, un simbolo, un non-soggetto che rappresenta altri milioni di soggetti simili nelle loro azioni, reazioni e relazioni. Al centro del film sta un vuoto silenzioso, che si percepisce negli interstizi dell'agire di Claudia e che permea inesorabilmente la sua esistenza e quella di un'intera città-mondo. Se Claudia rappresenta (quasi) fino alla fine il vuoto del senso e l'evidenza del nulla, la sua controparte nel film è Olga, la ragazza ucraina che attraverserà per breve tempo l'esistenza di Claudia. Olga sembra incarnare il mistero, la possibilità, e somiglia tanto alla sublime figura salvifica montaliana di Ti libero la fronte dai ghiaccioli. La sua 'funzione' nel film è offrire un'opportunità, squarciare il velo dell'algida apparenza metropolitana e dare una nuova coscienza a Claudia: la coscienza dell'altrove, in senso lato. C'è molto del primo Soldini in questo piccolo grande film, e c'è anche Michelangelo Antonioni, che c'è e ci sarà sempre. Perfetta la fotografia - sostanziale al film - a cui ha fatto da mentore nientemeno che Gabriele Basilico; efficaci i protagonisti Anita Kravos, Karolina Dafne Porcari e Paolo Pierobon.
Infine: ho avuto la fortuna di assistere alla proiezione digitale del film, che in digitale è stato anche girato; e devo dire che, nonostante la qualità passibile di miglioramento, su pellicola il film avrebbe perso e non guadagnato: perché il digitale è uno sguardo altro, diverso e anch'esso sostanziale a questo film. Qualcosa di nuovo sta iniziando.
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