Burn after reading
"Che cazzo di casino". Con questa frase, pronunciata da un pezzo grosso della CIA nel suo studio a Langley, si chiude l'ultimo bellissimo film di Joel e Ethan Coen. E molto prima che quella frase venga pronunciata, lo spettatore sta pensando esattamente la stessa cosa, e non ha nemmeno torto. Ma non facciamo casino e cominciamo dall'inizio.
Il film parte con la macchina da presa che inquadra la superficie del nostro pianeta e, in uno zoom in avanti, in accelerazione, seleziona un punto a caso su questa mappa, un punto irriconoscibile; zoomando sempre di più, la mdp sceglie infine un edificio nel quale "atterra" sul pavimento, o meglio sui passi veloci e ben calzati di un uomo in abito scuro. Il pavimento in questione è quello di Langley, Virginia, sede centrale dell'agenzia più famosa e meno conosciuta del pianeta; i passi sono quelli di Osborne Cox (John Malkovich, in grande forma), analista con papillon che, percorrendo i corridoi della Sede centrale, sta andando verso il suo destino. E così facendo sta mettendo in moto uno degli intrecci più pazzamente complicati che il cinema americano possa ricordare. Eppure si tratta di un racconto perfetto: i Coen sono narratori straordinari, e qui hanno quasi superato loro stessi. Il loro copione è tecnicamente ineccepibile, e ottiene l'effetto desiderato di "incasinare" lo spettatore attraverso un accumulo ipertrofico di filoni narrativi che si intrecciano e si allontanano senza alcun ordine o schema rintracciabile. Ed è proprio questa la grandezza degli autori, qui come in molte altre loro opere: riuscire mirabilmente a imitare il Caso, o meglio, a dargli forma. Burn after reading è esilarante, dall'inizio alla fine, sembrerebbe quasi un film comico; eppure, ripensandoci, non c'è proprio nulla da ridere. Perché quello che i Coen vogliono mostrare è l'assurdità del Caso, la sua crudeltà, la sua assoluta indifferenza verso gli uomini e persino forse verso l'idea di "destino". Penso al dischetto che viene ritrovato casualmente nella prima parte del film, e che mette in moto l'intreccio delle storie dei vari protagonisti; il dischetto viene ritrovato da un personaggio marginale, che a malapena riesce ad esprimere concetti e a rispondere alle domande che gli sono poste: una specie di personificazione del Caso stesso, che non dà risposte, è in sè vuoto di senso e di significato. E il dischetto ritrovato, che contiene una serie di codici inspiegabili e non interpretabili, è un simbolo del film medesimo; anche quest'ultimo è apparentemente privo di significato, non interpretabile, senza capo nè coda. Tutti i personaggi vedono cambiare radicalmente le loro esistenze fra l'inizio e la fine del film, alcuni perdono anche la vita in modo appunto crudele, assurdo e insensato; e in tutto questo non c'è alcuna logica, nessun codice. Su quel dischetto qualcuno ha copiato una serie di dati segreti non interpretabili, e quindi caotici e privi di senso; allo stesso modo, la macchina da presa seleziona una porzione casuale di realtà con il suo zoom iniziale verso il basso, la copia sulla pellicola, e poi zooma all'indietro per chiudere il processo di copia; ma ciò che si legge in questa copia non è comprensibile, non ha alcuna chiave di decrittazione: l'esistenza umana è priva di un significato intelligibile, è puro caos, non c'è nessun destino. E come sempre nel cinema dei Coen il cerchio non si chiude: non ci si lasci ingannare da quei (finti) movimenti di macchina all'inizio e alla fine del film, nè dal fatto che tutto inizia e finisce nel quartier generale della CIA (della CIA è la mossa che dà inizio alla catena causale/casuale degli eventi, ma la CIA stessa alla fine del film non saprà comprendere ciò a cui essa stessa aveva dato origine). Non c'è nessuna reale apertura o chiusura del film, nessun meccanismo scatta prima o dopo per rimettere le cose a posto (e quale posto, del resto?); si tratta soltanto di una selezione temporale in un flusso ininterrotto di casualità. Burn after reading è allora proprio come un messaggio in codice, da distruggere dopo avere letto: forse perché contiene segreti impossibili da tollerare.