La terra degli uomini rossi
E' bravo Marco Bechis, si sentiva la mancanza del suo cinema. La terra degli uomini rossi è un'opera forte, compatta, senza sbavature. Un autentico film di denuncia, che indigna e sconvolge. Lo stile di Bechis è asciutto e essenziale, ma ci sono anche visioni potenti e suggestive; non è un film girato con lo sguardo provinciale dell'Italia odierna, l'autore è un vero cittadino del mondo, lucido e mentalmente aperto, e questo film testimonia la sua ottima conoscenza della situazione sociale nel Brasile contemporaneo: la ricchezza di pochissimi che causa la povertà nera di tutti gli altri, le barriere sociali che diventano psicologiche, le fazendas, la violenza quotidiana e la corruzione che è parte integrante e indistinguibile delle istituzioni di quel Paese immenso e splendido. E in tutta questa consapevolezza, con tale lucidità, Bechis sa anche tratteggiare molto bene i suoi personaggi: gli bastano poche annotazioni per accendere l'empatia dello spettatore; empatia che, si badi bene, non diventa mai stupida pietà o commiserazione. Gli indios Guarani raccontati nel film hanno una dignità e una forza interiore invidiabili: costretti da altri a condurre esistenze vuote e assurde, che portano molti di loro alla scelta più estrema, non sanno in fondo cedere ai compromessi, nè diventano mai servili nei confronti del "dominatore" bianco, pur non avendo alcun potere di rivalsa. Insomma non si trasformano mai in un riflesso del loro nemico (sì, perché di nemico si tratta); mentre i non-indigeni facilmente si assoggettano ai fazenderos in cambio di una vita miserabile, questi ultimi sono rabbiosamente attaccati ai loro possessi e disprezzano senza vergogna il resto del loro mondo; sullo sfondo, turisti stupidi e irresponsabili sono vittime della menzogna che diventa cultura. Ma soprattutto, e ancora una volta, Bechis vuole mostrare l'orrore silenzioso del potere: l'oppressione dei forti sui deboli, dei molti sui pochi, dei ricchi sui poveri. Un'oppressione che, quando lo strumento dell'esclusione sociale non basta più, non esita a ricorrere alla violenza. Ma c'è qualcosa che non si può vincere nè con l'esclusione nè con la morte, sembra ricordare Bechis nelle sequenze finali: è lo spirito, è l'anima.
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