mercoledì 21 novembre 2007

Meduse

Piccolo prezioso film proveniente da Israele, Meduzot (regia di Etgar Keret e Shira Geffen) arriva in Italia grazie alla distribuzione della Sacher di Nanni Moretti; ed è una delizia. Vite che si sfiorano appena sullo sfondo di una Tel-Aviv trasognata e sospesa, sconfinamenti senza soluzione di continuità nel sogno, nel ricordo e nella fantasia: vero, bellissimo realismo magico. Purtroppo non conosco quasi per nulla la cultura ebraica, e perdo così buona parte dei segni e rispettivi significati che costellano il film; ma l'opera è assai densa e complessa, nonostante la sua apparente levità, con una ingente stratificazione semantica. Non c'è molto da aggiungere: si tratta di un lavoro geniale, perfettamente scritto, diretto e interpretato, al centro del quale stanno la memoria, la ricerca di sè attraverso il ricordo e il desiderio di amare ed essere amati, contro ogni avversità. Imperdibile.

L'abbuffata

Un pasticcio totale, ecco cos'è l'ultimo film di Mimmo Calopresti. Anzi, si potrebbe pure parlare di schifezza. Dico subito delle (pochissime) cose buone del film, così poi mi posso sfogare: la cosa migliore è la colonna sonora, firmata da Sergio Cammariere e dal Parto Delle Nuvole Pesanti: credo siano brani inediti, almeno quelli di Cammariere, ma non mi sono informato; le canzoni sono belle, parole e musica del sud, calore, ritmo e voci scure. C'è Diego Abatantuono, la migliore interpretazione del film - anche se non proprio sopraffina perchè un po' gigionesca; ma il suo personaggio è di gran lunga il più bello, il suo dolore è reale e si percepisce chiaramente anche sotto le battute troppo facili. Poi ci sono i due cammei di Donatella Finocchiaro e Valeria Bruni Tedeschi: le due attrici sono brave come sempre e salvano i propri personaggi, anche se in extremis. Ok per Paolo Briguglia ed Elena Bouryka, ma niente di più. Il paesaggio è quello della Calabria, ma come merito del film è un po' stiracchiato.
Tornando dunque al gran pastrocchio di Calopresti: boh... Cosa gli è capitato, cosa voleva fare? Se il suo scopo era un film sulla spazzatura cinetelevisiva contemporanea, bisogna dire che si sia avvicinato così tanto al proprio soggetto da venirne irrimediabilmente contaminato, con il risultato che anche il suo film è spazzatura. Se vuoi raccontare l'assurdo non puoi farlo in modo assurdo, Mimmo; altrimenti dove sta la differenza fra te e loro? Passi che tu ti metta a fare il protagonista del film senza saper recitare, ma proprio per niente; va bene, può essere un riferimento ai molti attori che non sanno fare il proprio mestiere, oltre che una risposta a tutti quelli che ti dicono sarebbe meglio tu rimanessi dietro la macchina da presa (per evidenti motivi). Ma il film non sta in piedi, Mimmo: questo non è cinema, non è niente! Non ci sono quasi personaggi, non c'è uno straccio di storia con un pezzetto di significato al di là dell'ovvio, o una battuta da ricordare. Se volevate divertirvi, tu e i tuoi amici, andavate a cena fuori per gli affari vostri! E Depardieu, cosa mi rappresenta Depardieu, perché sta nel film? Volevi girare una "favola" sul Paese che va a picco? Sui cari vecchi valori di una volta che ci possono salvare? Dài, Mimmo... Nè capo nè coda, solo due ore buttate via dentro un cinema.

Piano, solo

Una bella sorpresa l'ultimo lavoro di Riccardo Milani, scritto con Ivan Cotroneo, Sandro Petraglia e Claudio Piersanti: il film è una dolorosa e commovente biografia del pianista jazz Luca Flores, scomparso tragicamente nel 1995. Flores è stato uno dei più grandi musicisti jazz italiani di sempre: compositore e performer eccelso, ha suonato con Chet Baker, Dave Holland, Massimo Urbani (qui un sito web a lui dedicato, per chi volesse conoscere meglio la sua musica). Milani ultimamente aveva lavorato molto per la televisione: sue per esempio furono le fiction RAI sul sequestro Soffiantini e su Cefalonia; però il regista, classe 1958, non cade nell'errore di girare un film per la tv: Piano, solo è la narrazione lancinante della tragedia di un'anima tormentata dalla malattia, ma i suoi toni sono trattenuti e non vi è alcuna spettacolarizzazione del dolore; piuttosto, un'intima empatia verso il protagonista del racconto e verso la sua famiglia, e una ammirazione silenziosa e discreta. Un grande applauso a tutto il cast: prima di tutti a Kim Rossi Stuart, grandissimo, che oggi è uno dei migliori attori italiani e che affronta questo ruolo con misura ma con profondo trasporto; poi a Jasmine Trinca, anche lei oramai a pieno titolo nella meglio gioventù del nostro cinema: una ragazza di 26 anni che ha iniziato a recitare quasi per caso ma ha presto dimostrato di saper fare ogni tipo di parte. Lode pure a Paola Cortellesi, molto brava: come per tutti i veri comici, anche dietro la sua maschera si celava un grande talento drammatico, del quale per fortuna i registi nostrani si sono accorti in fretta. Ottimi coprotagonisti sono poi Michele Placido - maestoso nella sua cauta saggezza attoriale - e Sandra Ceccarelli, magnetica come sempre, assieme a Corso Salani, Mariella Valentini, Claudio Gioè e Roberto De Francesco.