4 mesi, 3 settimane, 2 giorni
La struttura di 4 mesi, 3 settimane, 2 giorni (4 luni, 3 saptamini si 2 zile) non potrebbe essere più semplice: una protagonista, Otilia (Anamaria Marinca), unità di tempo (un giorno nel febbraio 1987) e si può dire anche di luogo (Bucarest). Da simili premesse il regista Cristian Mungiu fa scaturire un'opera dall'impatto emotivo devastante, sommessa e reticente ma che non lascia tregua allo spettatore. Anche la storia narrata è assolutamente lineare: una ragazza, Gabita, che studia al Politecnico di Bucarest e abita in un collegio universitario della città, ha preso la decisione di abortire e chiede aiuto alla sua compagna di stanza Otilia: inizia così una breve ma tragica odissea fra stanze e corridoi del collegio, atrii e camere d'albergo, la casa del fidanzato di Otilia e le strade buie e innevate di Bucarest. Non si parla mai di dittatura, di Ceausescu o di comunismo; eppure ogni inquadratura trasuda paura, incertezza, rassegnazione. Il centro del film è un vuoto di senso che equivale al vuoto politico in cui era caduta un'intera nazione; in quel vuoto finiscono per cadere anche persone come Otilia, che ancora possiedono un'anima e sono disposte a donarsi, a cercare di vivere in pienezza nonostante tutto. Otilia ama il suo ragazzo e vuole bene alle amiche con cui abita; ma quello che passerà per aiutare proprio una di loro le toglierà, forse per sempre, una parte importante di se stessa; tutto questo a causa di una becera legge anti-abortista scaturita a sua volta da un aborto della Storia. Non si tratta di un discorso morale, anzi; la Storia schiaccia le storie dei singoli, ci racconta Mungiu, e non necessariamente coloro che vengono schiacciati soccombono lottando eroicamente o in un'aura di retorico coraggio; chi soccombe è semplicemente chi vorrebbe vivere la propria vita in modo semplice senza rinunciare ai sentimenti e alle emozioni. Otilia lotta, appunto, non propriamente in modo coraggioso o nobile, ma semplicemente per tentare di conservare la propria umanità in un contesto nel quale essa non viene contemplata, e in cui le persone finiscono con l'essere trasformate in oggetti o perlomeno in identità astratte e prive di senso (anche morale, infine). Ecco dunque il significato del povero feto abbandonato sul pavimento di un bagno in una stanza d'albergo e poi gettato in un bidone della spazzatura: il risultato di tutte le norme, di tutti gli apparati e le pianificazioni è la trasformazione degli esseri umani in oggetti, e la riduzione a nulla del valore della loro vita esistenza umanità.
La regia di Mungiu è perfetta, di un'intensità altissima e costante, ed è supportata da una recitazione mirabile: in primo luogo della protagonista Anamaria Marinca, straordinaria, e poi degli eccellenti comprimari Laura Vasiliu, Vlad Ivanov e Alex Potocean. Palma d'Oro a Cannes 2007.
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