L'ora di punta/Il dolce e l'amaro
Questi due li metto insieme per diverse ragioni: innanzitutto, sono talmente brutti che insieme non valgono nemmeno il prezzo di un biglietto, e mi rompe perdere troppo tempo su roba simile; poi, entrambi erano in concorso a Venezia, rappresentanti del cinema italiano contemporaneo. Terza ragione: questi due pasticci sono l'ennesima dimostrazione che in Italia spesso se vuoi uscire al cinema devi girare un film per la tv.
L'ora di punta è diretto da Vincenzo Marra, che non è esattamente un regista da buttare (Vento di terra, del 2004, era un bel film, sentito e dolente) e per questo dà il maggior dispiacere: la storia, la semplice trama del film, scritta dallo stesso Marra, è assurda, implausibile; per di più è mal raccontata, piena di buchi, dimenticanze, svarioni drammaturgici. Un mezzo disastro, e il resto lo fanno i personaggi e gli attori, a pari merito: il protagonista, una guardia di finanza dalle umili origini e dalla moralità evanescente che si improvvisa palazzinaro, proprio non sta in piedi; ed è interpretato dall'imbarazzante Michele Lastella, faccia da guappo ed espressioni incontrollabili. C'è Fanny Ardant, va bene, ma anche lei ha due facce in tutto, col sorriso e senza; e la giovane amante del protagonista è imbastita alla meglio su Giulia Bevilacqua, la quale al momento non sembra poter fare meglio che in Distretto di Polizia (non che io guardi Distretto di Polizia, si intende). Il film è prodotto da Rai Cinema.
E veniamo a Il dolce e l'amaro, definito da Marco Muller "il più graffiante film sulla mafia degli ultimi anni" (sic; la citazione l'ho trovata sul sito ufficiale di Donatella Finocchiaro, protagonista del film). La prima cosa che mi è venuta in mente vedendo il film è stata: ma come hanno fatto la Finocchiaro e Luigi Lo Cascio, due attori davvero grandi e che io amo molto, ad accettare di fare questo film? La regia dell'esordiente Andrea Porporati è praticamente nulla, sembra che gli attori siano lasciati a se stessi e perfino i due protagonisti finiscono col non fare una gran figura. Per il resto, Il dolce e l'amaro si potrebbe definire come "il primo film trash sulla mafia che non sa di essere trash", pieno com'è di luoghi comuni preistorici su mafiosi, donne dei mafiosi, riunioni di mafiosi, sughi al pomodoro di mafiosi in carcere, ecc. ecc. Il copione è pessimo, un colabrodo al pari della sceneggiatura di Marra, e anch'esso del tutto implausibile e talvolta ridicolo. Illumina brevemente la scena Fabrizio Gifuni, nel piccolo ruolo di un magistrato, ucciso però prima dal film stesso che da una bomba di Cosa Nostra. Il film è prodotto da Medusa Film.
Doppio aborto. E lo sappiamo tutti di chi è il merito: se due film come questi escono in sala e arrivano in concorso a Venezia, la colpa non è dei registi o degli attori, ma di chi li fa uscire e arrivare in alto. I produttori ragazzi, i produttori! Il cinema italiano è più o meno in mano alla casta dei produttori, che a parte Fandango e Maggioni sono rimasti dei cinematografari vecchio stile ammanicati con la politica romana. Chissà quanti film sono rimasti nei cassetti a Roma, girati solo per avere i soldi dei finanziamenti statali e poi buttati via; chissà quanti di essi erano migliori di questi due, e intanto i film italiani più belli escono con dieci copie in tutto e tocca vederli per la prima volta sei mesi dopo, in qualche sperduto cinema d'essai a metà settimana. E' l'Italia, monnezza!
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