Gli amori di Astrea e Céladon
A quasi 87 anni, Eric Rohmer ha ancora la forza e il coraggio dei suoi esordi. Il suo ultimo film, Les amours d'Astrée et Céladon, è tratto da quello che in Francia viene chiamato "il Romanzo dei Romanzi": L'Astrée di Honoré d'Urfé, considerato appunto il primo roman-fleuve della letteratura francese, di ambientazione pastorale; edito tra il 1607 e il 1627, è costituito da 5 parti, 40 storie e 60 libri. Non dev'essere una passeggiata affrontare un testo di tale complessità; e ci vuole coraggio, senza dubbio, ad allontanarsi dalle proprie consuete ambientazioni contemporanee (con la recente eccezione dello splendido L'Anglaise et le Duc) per narrare una storia situata nella Gallia del V secolo dopo Cristo. Rohmer, il cui "tocco magico" nella rappresentazione della realtà è ben noto, qui compie una brusca inversione verso l'antinaturalismo: sin dai titoli di testa, lo spettatore viene avvertito del fatto che il film è stato girato in una regione della Francia diversa da quella nella quale il testo di partenza ambientava la vicenda narrata, perché i luoghi "originari" sono oggi deturpati dalla speculazione edilizia; così come, puntualizzano le didascalie iniziali, i costumi degli attori corrispondono alla visione che i francesi del XVII secolo avevano dei loro compatrioti di dodici secoli prima.
Rohmer è quindi interessato non a una mimesi, ma a una decisa meta-rappresentazione. C'è un forte schematismo nel film, una apparente rigidità di cui non si trova traccia nell'ultima produzione del maestro francese; l'opera ha un andamento più teatrale che cinematografico, con pochi brevi movimenti di macchina e molte inquadrature fisse; gli attori sono spesso ripresi a mezzobusto o in primo piano, più raramente in totale.
Nell'ultima parte del film Astrea non sa riconoscere, se non nel finale risolutivo, il suo Céladon, pur con il viso di questi non celato da alcuna maschera; in tale rappresentazione-nella-rappresentazione risiede il segreto di questo difficile film: l'amore, anzi gli amori di Astrea e di Céladon devono scontrarsi continuamente con delle rappresentazioni, sovrastrutture del senso che impediscono ai due di ritrovarsi e di dare pienezza al loro sentimento, modificando di volta in volta la natura e l'intensità di quest'ultimo. E così dietro l'apparenza del film in costume si nasconde un'analisi del rapporto amoroso che trascende qualunque epoca: Rohmer è sempre se stesso, per quanto l'inafferrabilità e il segreto del suo sguardo si celino questa volta fra le maglie di una evidente messa in scena e non, come spesso è accaduto in passato, dietro la sublime leggerezza con la quale il regista ha mostrato - trasfigurandole mirabilmente - le più comuni situazioni della quotidianità contemporanea.
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