La duchessa di Langeais
Amore e passione come sofferenza, violenza, sopraffazione e dolore. Parrebbe un'equazione perlomeno inflazionata, ma lo sguardo di Jacques Rivette è tutt'altro che accomodante. Classe 1928, uno dei padri della Nouvelle Vague, il regista francese ritorna dopo quattro anni dal precedente lavoro con la trasposizione cinematografica di un romanzo di Balzac pubblicato nel 1834, Ne touchez pas la hache; il film però è ben altro che una rievocazione storica. Piuttosto, si può parlare di un gioco psicologico dalla geometria misteriosa quanto implacabile. La storia è divisa in parti nette, all'interno di ciascuna delle quali è ben chiaro che esiste un rapporto di forza fra Antoinette de Langeais (Jeanne Balibar, magnetica) e Armand de Montriveau (Guillaume Depardieu, bravo nel cupo tormento del suo personaggio): ma in questo rapporto non è mai ovvio chi sia a dominare e chi venga dominato. Nella prima parte del film pare essere la duchessa a condurre il gioco, mentre nella seconda il giovane generale di Napoleone appare in vantaggio; ma si tratta soltanto di apparenze. Chi vede il film non arriva mai a poter comprendere l'intimo dei protagonisti, che rimane misterioso e indecifrabile. La grandezza di Rivette in questo bellissimo film risiede nel saper comprimere una tempesta occulta di passione e sentimento all'interno delle inquadrature a camera pressochè fissa, dentro il montaggio lento e sommesso, dentro il silenzio, che è vera figura sullo sfondo dei dialoghi formali e trattenuti fra i protagonisti. Nel film, girato quasi totalmente in interni, ogni azione sembra essere simulazione; sembra, appunto, perché lo spettatore viene lasciato mirabilmente solo di fronte alle vicende dei personaggi, senza indicazioni che imprigionino il giudizio all'interno di percorsi predefiniti. Perfino il fatto che numerose didascalie dal testo balzachiano intercorrano a raccordare o sottolineare le scene finisce per diventare un indizio della libertà interpretativa lasciata allo spettatore: se le parole di Balzac sono deboli puntelli di oggettività, tutto il resto che appare sullo schermo è lasciato al dominio del sentimento e della soggettività. Ammantato di un'atmosfera metafisica e quasi onirica, Ne touchez pas la hache ("non toccate la scure") è un film dalla pura autorialità che rifiuta di apparire tale, e che per ciò lo è tanto più profondamente.
1 commento:
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