Red Road
Inizia splendidamente Red Road di Andrea Arnold, premio della Giuria a Cannes 2006: il silenzio e la dissoluzione dello sguardo nei tanti monitor che circondano la protagonista Jackie (Kate Dickie, molto brava) mostrano - per sottrazione appunto - l'anima del film: l'ellissi, il fuori campo, l'assenza. Una tensione cupa e afona permea ogni inquadratura, mentre lo spettatore cerca di capire chi sia realmente Jackie, quali siano i legami con le persone che si vedono intorno a lei, cosa contenga il suo passato e quali siano, infine, i suoi pensieri.
Jackie di professione fa l'osservatrice: controlla la città dove vive, Glasgow, attraverso gli occhi elettronici delle miriadi di telecamere collocate ovunque a spiare i movimenti delle persone, con la scusa di prevenire crimini e aggressioni. Jackie registra tutto e archivia i nastri, poi torna nel suo appartamento a passare il tempo con la solitudine. Nulla fa differenza nella sua vita, non un invito a un matrimonio che le ricorda il passato, nè la squallida relazione con un collega.
Finché un giorno Jackie crede di riconoscere su uno dei suoi monitor un volto che il tempo aveva momentaneamente nascosto: e l'esistenza della donna acquisisce uno scopo nuovo.
Red Road è anche un esperimento: prodotto dalla Zentropa di Von Trier, è il primo episodio di una trilogia filmata in digitale in tre diverse città scozzesi, con gli stessi attori che conservano i loro personaggi, e ciascun film girato da un regista diverso.
Detto questo, forse sarebbe meglio aspettare gli altri due film per dare un giudizio; ma mi sembra che a un certo punto Red Road esaurisca la sua spinta iniziale, e si diluisca progressivamente fino a perdere quanto di buono possedeva: la tensione, il silenzio, le assenze che riempivano lo schermo. Aspettiamo e vedremo, to be continued...
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