martedì 18 settembre 2007

Io non sono qui

I'm not there è il titolo di una canzone di Bob Dylan del 1956, prima di essere quello del film - splendido - di Todd Haynes. Ma il titolo italiano è un disastro e rovina subito tutto: non si può tradurre "I'm not there" con "Io non sono qui", non ha nessun senso, non ci azzecca per niente. Perché il titolo della canzone e del film potrebbe ambire a sintetizzare in poche parole il senso di una vita, la vita di Bob Dylan: "io non sono là" (traduzione lievemente più plausibile, dato che "there" è molto diverso da "here": "here" significa "qui", prossimità, vicinanza; "there", distanza, lontananza, altrove). Perché Bob Dylan non ha mai voluto stare là dove la gente lo cercava, nè fare quello che ci si aspettava da lui; ha sempre preferito, nella sua esistenza straordinaria, essere da un'altra parte.
E così fa il film di Haynes: inafferrabile e ineffabile, porta con sè lo spettatore, per quasi due ore e mezza, in un viaggio fantastico che non è una biografia, nè un finto documentario, nè un romanzo per immagini. Impossibile dire cosa sia I'm not there, e ancor più assurdo sarebbe il desiderio di classificarlo, di farlo rientrare in uno schema preesistente o in un genere canonizzato. Questo film in qualche modo è Bob Dylan: ci sono le sue canzoni, gemme eterne, cantate da lui in over oppure in qualche caso dagli attori; ci sono i personaggi delle sue canzoni che prendono vita e si mescolano con le altre storie e vite dylaniane, in un inestricabile e indistinguibile continuo di bellezza; ci sono le parole delle sue canzoni trasformate in battute di dialogo (ed è un peccato non poter avere il film in lingua originale, o perlomeno sottotitolato); ci sono personaggi con vite simili ma non uguali a quelle del Nostro; e ci sono, anche, rimandi, citazioni e prese per i fondelli di tutti i film e audiovisivi che hanno avuto Dylan per soggetto o per oggetto: da Don't Look Back di D. A. Pennebaker fino al recente No Direction Home di Scorsese, passando ovviamente per Pat Garrett & Billy The Kid di Sam Peckinpah. Insomma, è un nuovo tipo di racconto cinematografico: suggestioni, echi, risonanze, tracce che prendono vita sullo schermo e si fanno materia narrativa, allo stesso tempo narrando le varie fasi della vita di Dylan come nessun dannato biopic saprebbe mai fare. Meraviglioso.
Fra gli attori, difficile scegliere: Cate Blanchett, che ha vinto quest'anno la Coppa Volpi per la sua interpretazione (di un personaggio maschile), è quasi incredibile per come ha saputo fare suoi i gesti e gli atteggiamenti del Dylan più indimenticabile, ovvero quello del biennio 1965-66; c'è un bravissimo e insolito Richard Gere che interpreta Billy The Kid, Christian Bale e Heath Ledger sono molto intensi, e Charlotte Gainsbourg è struggente nel suo personaggio pieno di rimpianto e malinconia.

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