martedì 8 gennaio 2008

Lussuria

Non si creda a tutto quello che la televisione dice su Lussuria (Lust, Caution, 2007). Non è un capolavoro, non è nemmeno un grande film; è un'opera interessante, esteticamente impeccabile, ma mi chiedo quali altri film fossero in gara quest'anno a Venezia; se hanno premiato di nuovo Ang Lee con il Leone, due anni dopo il bellissimo - questo sì - I segreti di Brokeback Mountain, vuol dire che il concorso ha toccato il fondo. Venezia non sembra saper uscire dalla sua crisi: continua a proporsi come l'unico festival internazionale di alto livello interessato al cinema come arte e non come prodotto, ma la scelta del vincitore 2007 è l'ultima contraddizione, in ordine di tempo, dell'immagine che la manifestazione lagunare vuol dare di sé; intanto i film più belli continuano ad arrivare da Cannes e da Berlino, luoghi in cui l'interesse per gli aspetti mercantili della settima arte è assai più marcato. Niente di strano a mio parere: il cinema è stato a lungo - e spero continui a rimanere - un fenomeno di massa, ovvero per le persone tutte e non soltanto per i critici; la bellezza, quando c'è, parla a chiunque e nessuno può sfuggirle: non si può scegliere un film in base al suo essere o non essere "commerciale", credo che questa distinzione non abbia oggi molto senso, se mai ne ha avuto in passato.
Tornando a Lussuria - il titolo italiano è una furba storpiatura del già azzeccato titolo originale - è facile trovare più di un difetto. Lee voleva probabilmente girare un film "psicologico", che raccontasse il tormento interiore della protagonista ecc. ecc. Peccato che il personaggio di Wang Jiazhi (Tang Wei, niente male) abbia ben poco spessore: il gioco del film consiste nel mostrare la pressione e le mutilazioni subìte dall'anima di Wang, costretta per (soprav)vivere
a recitare in uno spettacolo del quale alla fine perderà il controllo; ma l'ambiguità del personaggio, che avrebbe dovuto sostanziare la scelta della regìa, rimane poco più che evanescente. Anche l'altro personaggio protagonista, Yee, interpretato da Tony Leung (attore fantastico, ma qui un po' sottotono), è delineato in modo troppo superficiale, troppo rigido e repentino: una specie di robot che agisce a scatti, senza che sia possibile spiegarsi del tutto le rare emozioni che appaiono sul suo volto. Pure il racconto lascia a desiderare: a parte l'antinaturalismo insistito, l'andamento è prolisso e un po' sconclusionato, e in sala tocca sbadigliare più di una volta; forse la parte migliore è il finale, che riscatta una quasi totale assenza di tensione narrativa. Il film è una produzione cino-americana, e sconta un difetto comune a entrambe le cinematografie d'origine, l'estetismo: una fredda, quasi morbosa attenzione alla bellezza dei dettagli prevarica ogni altro aspetto del film, dall'introspezione all'analisi storico-politica, peraltro assai periferica nel quadro dell'opera. Ecco perché all'inizio parlavo di contraddizione: Venezia ha premiato il film per venderlo meglio, come se già esso non sapesse vendersi da solo, a partire dal titolo. Cio' detto, bisogna riconoscere che il discorso di Ang Lee regge il proprio peso, e Lussuria merita comunque di essere visto, ma ripeto: non bisogna ascoltare quel che blaterano i critici in tv, è solo pubblicità.

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