martedì 18 novembre 2008

La classe

Mica facile parlare di questo bel film di Laurent Cantet, regista di cui sin dall'inizio ho amato il lavoro. Mica facile non tanto per il logo della palma dorata stampigliato prima dei titoli di testa; quanto piuttosto perché, nonostante la linearità e la semplicità stilistica che lo caratterizzano, si tratta di un'opera complessa, anzi, iper-complessa. Innanzitutto Entre les murs porta lo stesso titolo del romanzo da cui è tratto, pubblicato nel 2006 e scritto da un vero professore di francese che narra la propria esperienza in una scuola media del XX° arrondissement di Parigi; il quale professore, François Bégaudeau, è anche coautore della sceneggiatura nonché protagonista del film, nelle vesti di un professore di francese di nome François. Gli alunni sono tutti ragazzi presi dalla scuola media del XX° di cui sopra. Questa la superficie delle cose. Oltre, cominciano le domande: di cosa parla davvero il film? Del sistema educativo francese, di una scuola della banlieue, della Francia contemporanea? Delle persone e dei loro rapporti in un contesto strutturato e regolamentato? Della responsabilità individuale, della colpa? Non lo so. Probabilmente di tutte queste cose assieme, senza sbilanciarsi; ma non senza prendere posizione, perché è abbastanza chiaro al termine del film che, almeno secondo gli autori, a perdere di più sono sempre i ragazzi.
Entre les murs parla della scuola francese, sì, ma tende a portare il proprio discorso a un livello superiore di astrazione: nonostante lo stile documentaristico, la macchina a mano, la luce naturale, il fatto che la vicenda si svolga tutta all'interno della scuola tende a connotare quest'ultima come universo chiuso e autoreferenziale, eterno, con proprie regole, gerarchie e sanzioni. Un tale ambiente autoreferenziale, se da un lato presenta caratteristiche che mettono in secondo piano la sua appartenenza geografica e culturale, dall'altro lato è un contesto sterile, freddo, scollegato dalla realtà "esterna", e pertanto inutile e vano. L'analisi di Cantet e Bégaudeau dunque, se ad un primo livello appare di tipo sociale, è in realtà soprattutto metafisica. A questo tipo di lettura si ricollegano le ultimissime scene del film, nelle quali lo sguardo della macchina da presa si libera di una certa pesantezza "da inchiesta" e assume infine una levità "filosofica". Va da sè che non ci sono risposte; e come potrebbero esserci, quando la materia di cui si tratta è l'umanità stessa? Umanità, tra l'altro, benissimo rappresentata dal professore protagonista e dalla sua classe, tutti ottimi attori.

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