mercoledì 5 novembre 2008

Vicky Cristina Barcelona

C'è poco da ridere negli ultimi film del vecchio Woody, e quest'ultimo non fa eccezione. E' un lavoro ben riuscito in fondo, che non fa rimpiangere i film precedenti. In Vicky Cristina Barcelona ho ritrovato lo stesso nichilismo cupo percepito in Sogni e delitti, ma con una sostanziale differenza stilistica: il regista ha dato al suo primo film "spagnolo" un'aura volutamente e totalmente posticcia, un senso irritante di finzione esistenziale all'interno della finzione filmica. I personaggi ritratti in Vicky sono del tutto antinaturalistici: vivono giorni superficiali, all'insegna della precarietà sentimentale, prigionieri e schiavi del proprio ego; e tutto questo ha luogo in una scenografia volutamente "turistica", che copre tutti i luoghi comuni su - e di - Barcellona, la Spagna e i suoi abitanti. Lo stesso regista ha dichiarato che voleva rappresentare il Paese iberico attraverso lo sguardo dei viaggiatori stranieri che vi trascorrono le loro vacanze più o meno durature, si tratti di due mesi di studio nella capitale catalana o di un'esistenza intera dentro un matrimonio senza amore; e perfino la voce fuori campo, onnipresente quanto sgradevole, alla fine ha una sua ragion d'essere in un tale contesto di pura fatuità; anzi, la voce over è lo strumento unico al quale l'enunciazione si affida per descrivere la psicologia dei personaggi e le ragioni che li muovono; senza di lei, essi apparirebbero automi insensati (ben più di quanto lo sembrino alla fine del film, in ogni caso). E a forza di incroci amorosi e di mosse sulla scacchiera, Woody sembra perfino voler costruire uno schema e dare un messaggio strutturato, verso la fine; invece niente, anche quello schema è finto e non porta da nessuna parte. Le protagoniste se ne torneranno in America esattamente come erano partite, e le loro esistenze rimarranno vuote e precarie com'erano prima del viaggio in Spagna. Così siamo noi tutti, sembra pensare Allen: turisti mordi-e-fuggi della vita intera. Si prende qualcosa di qua e qualcosa di là, si fanno un sacco di fotografie e ci si racconta un mucchio di storie, ma alla fine è tutto inutile, si ritorna sempre alla propria natura, buona o cattiva che sia, migliore o peggiore delle altre. L'unica cosa che ci rimane, anche se serve a ben poco.

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