mercoledì 4 aprile 2007

Centochiodi

La bellezza profonda di Centochiodi si percepisce a distanza di tempo, nel ricordo e nella riflessione, come avviene per ogni vera bellezza. Ermanno Olmi intende con questo film congedarsi dal cinema di finzione per ritornare all'inizio della sua carriera, al documentario; e ritornare fra la gente, come il protagonista di questo film.
Vedendo Centochiodi si avverte una dissonanza fondamentale: il film è girato in modo estremamente "naturalistico", ma non è un'osservazione o una riproduzione della realtà. Gli attori sono tutti non professionisti, e Raz Degan a sua volta non è un vero attore, anche se la ieraticità del suo viso non è mai inespressiva; in fondo non importa chi siano gli attori, se quello che si mette in scena è una sacra rappresentazione. Il paesaggio del fiume Po, del basso mantovano, è visto con lo sguardo attento e partecipe che Olmi tenne per Lungo il fiume; ma come quello non era un "semplice" documentario, anche questo film non racconta una storia con un inizio e una fine, sebbene il suo svolgimento sia lineare proprio come il corso del grande fiume.
Centochiodi è piuttosto una parabola, come quelle che il professore protagonista del film, dopo la fuga dall'Università di Bologna, racconta alle persone che vengono a portargli cibo e vino in cambio di compagnia, nella casa diroccata che l'uomo ha preso come dimora; una parabola che racconta la vita di Cristo in modo puntuale, con citazioni precise e parafrasi del testo evangelico; ma il racconto non è certo ortodosso, il suo significato è duro e per nulla scontato.
Centochiodi parla all'anima e la tocca, scuotendola dal torpore; il suo narrare sommesso cela un abisso di verità, le parole del film ci inchiodano alla nostra povertà come gli antichi volumi vengono "crocifissi" sul pavimento della biblioteca. Quale povertà? Il non saper comprendere che tutti i libri del mondo non valgono un caffè con un amico.

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