martedì 24 aprile 2007

The Good Shepherd

Grande Matt Damon: non è da tutti saper sostenere - quasi in solitudine - un film come questo. Quasi tre ore per raccontare la storia dell'Agenzia di gran lunga più importante negli Stati Uniti del secondo dopoguerra (il suo nome non è certo un segreto...) attraverso la vita di uno dei suoi "fondatori", il signor Edward Wilson. Robert De Niro, al suo secondo film dietro la macchina da presa, non è forse l'autore ideale per un'opera di questo genere e di questa portata: e succede più di una volta che il film inciampi o si perda o imbocchi un vicolo cieco. La regia ha comunque il merito di tentare d'avvicinarsi quanto più possibile all'anima dei personaggi, peraltro riuscendovi fino a un certo punto: laddove gli attori sono di grande livello (per esempio John Turturro, e poi William Hurt e Billy Crudup) De Niro ha vita facile nel rappresentare debolezze, viltà o remoti tormenti interiori; quando però le doti recitative latitano, i personaggi si trasformano in figurine di terzo piano (è il caso di Angelina Jolie, che interpreta la moglie di Wilson).
Occorre però ricordare di nuovo che il film ha un unico vero protagonista, il buon pastore [minuscole mie] del titolo: un uomo che sacrifica tutto, compresi gli affetti primari, alla causa del proprio Paese. La Patria è l'unico vero amore di Wilson: non il figlio, nè la moglie sposata senza sentimenti, nè un'amante di gioventù abbandonata senza alcun rimpianto quando le circostanze lo richiedono. La CIA nelle intenzioni di De Niro e dello sceneggiatore Eric Roth (Munich) sembra divenire una metafora dell'America stessa, un Paese che procede a forza di inganni e segreti e considera le sue vittime un semplice prezzo da pagare, neppure troppo elevato. "Gli amici possono essere nemici, e i nemici amici" dice a Wilson il suo omologo sovietico, l'unico personaggio che non tradirà mai davvero il protagonista. E alla fine, dopo avere voltato le spalle a tutti coloro che lo hanno amato veramente, a Wilson non rimane che il freddo abbraccio, marmoreo e tombale, della nuova sede dell'Agenzia; assieme a una tristezza opprimente, accettata con rassegnazione tanto silenziosa quanto segretamente fanatica. Matt Damon, torno a dire, è grandioso: questa rimarrà sicuramente una delle sue migliori interpretazioni, per il modo in cui sa mostrare lo spegnersi lento ma inesorabile di un'anima.

1 commento:

Anonimo ha detto...

Anche se non so se lo vedrò mai
perché ho paura di qualsiasi cosa,
l'hai dipinto molto bene.
Buona giornata!